Casinò, i lavoratori tra sfiducia verso la politica e disillusione

Tra i (pochi) partecipanti al presidio sotto Palazzo regionale contro i tagli al personale previsti dal piano di concordato nessuno ufficialmente parla. “Quando c’è un Tribunale in campo cosa vuoi che resti da fare?”, è una delle frasi che echeggiano.
Presidio lavoratori Casinò
Cronaca

All’orario dell’inizio dei lavori del Consiglio Valle in seduta straordinaria, e quindi del presidio annunciato sotto palazzo regionale, non sono molto numerosi, ad occhio tra cinquanta e sessanta persone. Secondo alcuni, “non trattandosi di uno sciopero”, i colleghi “sono al lavoro”, e non qui. Sarebbe quindi questo argomento a spiegare la presenza tutto sommato relativa dei lavoratori del Casinò di Saint-Vincent all’iniziativa contro i tagli al personale previsti dal piano di concordato cui l’azienda sta lavorando.

Le motivazioni dei rappresentanti sindacali, come in altri casi, vedono posizioni variegate a seconda delle sigle. Le esprimono, a favore di telecamere e taccuini, prima dell’inizio della seduta dell’Assemblea, con un comun denominatore individuato “nell’importanza di essere qui oggi”, affinché “la nuova maggioranza veda che ci siamo” e nella preoccupazione per tempi stringenti per la chiusura di un accordo sindacale “così impattante”, definita senza mezzi termini “quasi impossibile”.

I dipendenti, riuniti in capannelli, guardati da poche e discrete forze dell’ordine, ufficialmente non parlano. Dicono di non sentirsela, tra timori per il posto di lavoro e il fatto che “saremmo qui per ascoltare cos’hanno da dirci, non per dire qualcosa”. Il Consiglio inizia e a loro disposizione, visto che la tribuna del pubblico non riesce a contenere tutti, viene messo il salone del Palazzo, con il grande schermo a ripetere le immagini, in primis del Presidente in pectore Antonio Fosson, impegnato nell’illustrare la mozione di sfiducia presentata al governo guidato da Nicoletta Spelgatti.

Il passaggio sulla casa da gioco dell’esponente di Pnv (“oggi lo spazio per le decisioni politiche è quasi pari a zero”), per la verità, non sconvolge la platea. “Nel momento in cui c’è un Tribunale in campo”, sussurra un dipendente, “cosa vuoi che resti da fare?”. Qualche mugugno si leva poi quando il consigliere leghista Andrea Manfrin conclude il suo intervento sottolineando che “soprattutto, in questi cinque mesi, in Valle d’Aosta non sono arrivati nuovi clandestini”.

Lo stesso accade nel momento in cui la consigliera Daria Pulz, di Impegno Civico, tocca il tema delle risorse finanziarie necessarie all’erogazione del “Bon de chauffage”. Nulla di eclatante, qualche perplessità a voce alta, che non scompone il personale del salone e non fa altro che confermare la sfiducia dell’uditorio nei confronti della classe politica, al di là dei colori, accusata di essere poco incline a preoccuparsi dei “problemi reali”. Peraltro, che negli ultimi tempi il “feeling” tra gli “inquilini” di place Deffeyes e chi lavora a Saint-Vincent fosse finito non occorreva arrivare ad oggi per misurarlo.

La nuova maggioranza non è ancora nata e i lavoratori iniziano a lasciare il salone, chi per prepararsi a prendere servizio nel pomeriggio, chi convinto ormai trattarsi “di una discussione solo sul piano ideologico” e abbandonato alla disillusione. “I numeri dei tagli – ribadisce uno di loro – sono chiari e la verità è che, togliendo quel personale, l’azienda, in particolare il ramo alberghiero, non riuscirebbe a continuare a lavorare. Se in una cucina restano cinque persone, cosa possono fare? Dopodiché, non ci sono solo i posti che verranno meno, ma anche le nuove condizioni per chi rimarrà. Suvvia, di cosa stiamo parlando?”.

Tutti si dicono concordi sul fatto che l’azienda introiti oltre 60 milioni di euro l’anno, essendo quindi tutt’altro che in crisi da questo punto di vista. Anche menzionando i costi d’esercizio troppo elevati (elemento sul quale ha puntato pesantemente il dito la Procura, nell’istanza di fallimento depositata in Tribunale) si nota più di una testa accondiscendere in senso di approvazione. Tuttavia, cercando delle ragioni per le spese fuori controllo, in cambio non si sente molto più che “colpa di scelte sbagliate”, oppure “meglio che non parlo, va”.

Viene in mente una battuta del film “Il giardino di limoni”, sul conflitto israelo-palestinese, in cui il rappresentante del Governo di David osserva sconsolato come la conflittualità tra le due comunità si perda nella notte dei tempi “e la soluzione dovrei trovarla adesso io?”. Una lettura che, nella vicenda del Casinò, pare rinvenibile sia per i politici nell’aula al primo piano, sia per i lavoratori. Se è vero che le cattive abitudini date troppo a lungo perdono qualsiasi aggettivo, perché diventano prassi nella percezione comune, ad avere un problema sono due parti. Chi le ha date, ma anche chi le considera acquisite.

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