Anche la “lavanderia” delle tangenti nella corruzione sotto il Cervino

Il funzionario Fabio Chiavazza, arrestato nell’inchiesta “Do Ut Des”, avrebbe "ripulito" 70mila euro di proventi illeciti attraverso false fatturazioni. Ecco come.
Cronaca

“Si era organizzato bene e quindi con una delle sue società mi ha fatto una fattura di materiali ed ha fatto apparire come se mi avesse venduto” delle attrezzature. A raccontarlo agli inquirenti è l’impresario edile che ha ammesso di aver versato, nel 2014, una “tangente” di 20mila euro all’allora responsabile tecnico del comune di Saint-Pierre, Fabio Chiavazza. Da quella confidenza è partita l’inchiesta “Do Ut Des” coordinata dal pm Luca Ceccanti, su un presunto giro di corruzione ed appalti pilotati, che vede, ad oggi, quattro arrestati ed oltre venti indagati in tutto.

Le parole dell’impresario, che risultava aver legittimamente ottenuto un appalto (ma ha riferito di essere stato “taglieggiato” dal funzionario, dietro la minaccia di revocargli l’assegnazione), mettono l’accento sull’“escamotage” grazie al quale, stando a Carabinieri e Procura, Chiavazza sarebbe riuscito a “portare in trasparenza” somme in origine illecite. Cruciale, al riguardo, la società cui il tecnico partecipava al 100% (dettaglio non sfuggito al momento del suo arrivo al comune di Valtournenche), la “CMP Immobiliare”, costituita nel 2009 per l’“acquisto, alienazione e costruzione di immobili”.

La società “paravento”

Per il Gip, nell’ordinanza con cui ha disposto l’arresto del funzionario, l’azienda, che avrebbe “perso ogni operatività prima del 2014”, sarebbe “stata costituita essenzialmente allo scopo di fungere da paravento di copertura per le tangenti ricevute da Chiavazza e, in generale, per le somme provenienti dall’illecita attività criminosa del tecnico”. In sostanza – è la tesi inquirente – richiesti i soldi per i suoi “favori”, il 48enne avrebbe poi simulato operazioni (in realtà inesistenti) dell’azienda e rilasciato fatture per le stesse.

“Su sua indicazione – ha aggiunto l’impresario – ci scambiammo anche un paio di mail per dare un’apparenza di verosimiglianza e legittimità al pagamento dei 20mila euro”. Gli inquirenti riscontrano la dichiarazione trovando, nella contabilità della “CMP”, due fatture, relative a “vendita attrezzatura”. C’è anche un elenco di beni, tra i quali compaiono puntelli, tavoloni in legno, betoniera, cassoni per gru e tavole. Materiali, annota il Gip, “la cui tracciabilità è pressoché impossibile, essendo privi di elementi identificativi” e non “richiedendo iscrizione nei libri sociali”.

Le “tangenti” in bonifici e assegni

Il pagamento dei due documenti risulta essere avvenuto, da parte dell’imprenditore, con un bonifico (per 6.868 euro) e con un assegno (da 5.892 euro). In quel modo, nella ricostruzione di Carabinieri e Procura, le somme sarebbero passate nella “lavanderia” escogitata dal funzionario, perdendo – almeno formalmente – connotazione illecita. Lo stesso “escamotage”, stando agli atti dell’inchiesta, sarebbe stato attuato anche rispetto alla “Edilvu” di Challand-Saint-Victor, la ditta di Ivan Vuillermin, Loreno Vuillermin e Renza Dondeynaz (ai “domiciliari” da ieri), a favore della quale Chiavazza avrebbe ripetutamente “strumentalizzato il suo ufficio”, una volta trasferitosi al comune di Valtournenche, per assegnare lavori, attuando vari “artifizi” amministrativi.

In particolare, nel mirino degli inquirenti sono finiti pagamenti effettuati dalla ditta, con bonifici, nel 2016 e 2017, per un totale di oltre 54mila euro. Si riferiscono ad acconti e saldo per due fatture, con oggetto la vendita a corpo di una serie di attrezzature ed alcuni lavori che la “CMP” avrebbe eseguito su commissione della “Edilvu”, in un cantiere di quest’ultima, aperto nella zona di Champdepraz e relativo alla costruzione di villette a schiera.

Nell’ordinanza cautelare, tuttavia, viene sottolineato che “da nessun documento è possibile rilevare la presenza di mezzi o maestranze della ‘CMP’” sul luogo dei lavori ed “è stata inoltre radicalmente esclusa la presenza di contratti di subappalto tra la “Edilvu” e la ditta cui, dal gennaio 2015, nella carica di legale rappresentante è subentrato il fratello di Chiavazza. Quanto all’altra fattura, nel periodo di emissione “la società non impiegava dipendenti da diversi anni e non si era mai rivolta a subappaltatori”, portando gli inquirenti ad escludere che “la CMP possedesse materiale e/o attrezzature” da poter vendere.

“Quei soldi sono la remunerazione”

Di contro, si legge nelle carte dell’inchiesta, “la congruenza economica tra prestazioni e controprestazioni, la congruenza tra i tempi in cui le procedure (di gara ritenute “addomesticate”, ndr.) sono state tenute e l’erogazione di denaro da parte della Edilvu sono indice univoco del fatto che le somme costituiscano la remunerazione per il reiterato compimento di atti contrari ai propri doveri d’ufficio”.

Insomma, nell’ipotesi dell’accusa, i quasi 70mila euro versati, in totale, alla “CMP” a seguito di quelle fatture – per cui Chiavazza risulta indagato per concussione, corruzione e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente – sarebbero lo stratagemma sottile di un funzionario conscio delle “maglie” del quadro normativo che avrebbe dovuto applicare rigorosamente, pretendendone nel contempo il rispetto dall’utenza con cui veniva a contatto.

Peraltro, dalle intercettazioni svolte dai Carabinieri, emerge che “Chiavazza non si fa scrupolo di acquistare per sé due motoseghe, facendole addebitare alla Edilvu”. Una condotta che, conclude l’ordinanza, “lascia chiaramente intendere come egli, in corrispettivo dei lavori concessi possa tranquillamente utilizzare Edilvu anche al fine di compiere acquisti personali”. In latino, “Do Ut Des”.

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