“Riparlare di legge elettorale è un tema centrale”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lettore e la sua riflessione sull'adozione, in Valle, di una legge elettorale con la quale "il ruolo del cittadino dovrebbe essere quello di un 'arbitro' anziché trovarsi spettatore delle sorti di maggioranze e governi".
I lettori di AostaSera
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Si possono dire molte cose sulla crisi della politica valdostana. Da quelle più banali passando per quelle sarcastiche fino a quelle più rabbiose e violente. Tutte, hanno una forte giustificazione in una cronaca quotidiana che non sembra voler uscire dall’emergenza.

Anche le posizioni più giustificazioniste e interessate, però, non possono non vedere che si tratta di una crisi di sistema e non più semplicemente di una fase transitoria. Quando ogni sei mesi cade una Giunta e nemmeno il voto dei cittadini riesce ad invertire il trend è evidente che c’è un problema più grande. Per questo riparlare di legge elettorale e di architettura istituzionale è un tema centrale di cui devono interessarsi tutti i cittadini.

La prima regola è però sterilizzare ogni ragionamento da considerazioni contingenti. L’errore più grande che si può fare è considerare, come un argomento dirimente, chi potrebbe essere favorito da una scelta piuttosto che da un’altra. Si dice che il legislatore, quando deve decidere di leggi elettorali (e di istituzioni), dovrebbe coprirsi con “il velo dell’ignoranza” per evitare di farsi influenzare dai propri interessi di parte o dalle proprie convenienze.

Le leggi elettorali degli ultimi anni sono state tutte progettate sugli interessi delle forze politiche che le dovevano approvare considerando rapporti di forza, prefigurazioni, equilibri tra i soggetti in campo. Anche l’ultima proposta dei cosiddetti autonomisti non trova di meglio che abbassare il quorum per il premio di maggioranza al 37,5% pensando ai loro presunti risultati elettorali. Non risolverebbe nulla. Non riescono, purtroppo, a ragionare partendo dal vero cuore di ogni sistema elettorale: il cittadino.

Roberto Ruffilli, accademico e studioso dei sistemi democratici ucciso dalle BR nell’88, sosteneva che in una democrazia matura il ruolo del cittadino dovrebbe essere quello di un “arbitro”. Anziché trovarsi spettatore delle sorti di maggioranze e governi sulla cui formazione o dissoluzione non ha effettiva influenza, una legge elettorale deve permettere al cittadino di diventare il giudice-arbitro della competizione tra i partiti.

O, ancora meglio, tra “coalizioni alternative” che si affrontano esplicitamente nella battaglia per il governo votando l’insieme di programmi, rappresentanti, Assessori e Presidente. Ruffilli non era un fan del proporzionalismo o del maggioritario. Una diatriba quasi inutile a questo punto delle cose. E nemmeno della “governabilità” anteposta alla “rappresentanza” che rischiano di essere dei concetti altrettanto vuoti.

Ruffilli era un amante della democrazia sotto l’aspetto dell’efficacia di fronte ai problemi della vita sociale. E se un tema si pone oggi, in Valle come nel Paese, è proprio quello dell’efficacia della politica e delle istituzioni. Guardando fuori da noi non possiamo non notare che quella condizione di arbitro per i cittadini non è assente nel panorama istituzionale e si identifica con i sistemi elettorali che presiedono alla elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle regioni.

Un buon sistema che da più di 25 anni permette continuità, alternanza, pluralismo e un potere netto dei cittadini per decidere non solo i propri rappresentanti ma anche la loro collocazione nei successivi cinque anni. Perché in Valle d’Aosta non potrebbe funzionare? Certo. Ci sono cattivi Sindaci e cattivi Presidenti ma questo appartiene alle scelte degli elettori.

Qualcuno equipara il favore dei cittadini nei confronti del modello di elezione diretta ad una deriva presidenzialista. Non credo che sia corretto. Non è l’esperienza storica degli italiani degli ultimi decenni che infatti apprezzano l’equilibrio democratico raggiunto negli enti locali. Tuttavia è vero che non è sufficiente una buona legge elettorale per avere una buona politica.

È necessario che anche le culture si rinnovino sotto il profilo dei metodi, delle idee e delle persone che le interpretano. Però non si può far finta di non vedere che è ormai il sistema che spinge alla mediocrità e disincentiva alla partecipazione i cittadini. Per questo bisogna provare ad alzare l’asticella, ad obbligare, chi si propone di rappresentarci, a dare di più.

 

Fabio Protasoni

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