“Le misure del decreto immigrazione sono svilenti per la dignità umana”

La lettera di una cinquantina di operatori dei servizi valdostani.
I lettori di Aostasera

Gentile Prefetta,
molti di noi lavorano da anni a contatto con i migranti nei servizi di accoglienza in Valle d’Aosta e, alla luce dell’attuale rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio e del decreto “sicurezza – immigrazione” che vi si inserisce, non possiamo non prendere parola.
Vogliamo esprimere le nostre preoccupazioni in merito alle conseguenze che deriveranno dal decreto da poco entrato in vigore, ma ancora di più verso la logica che sottende questo tipo di misura e che ci interroga sul tipo di società che stiamo costruendo.
Abbiamo tutti studiato la nostra Costituzione che all’art. 10 (3) recita: Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Come conciliare questo principio con la realtà che stiamo vivendo? Non ci riconosciamo più in un mondo dove si lasciano morire le persone in mare e su ogni altro tipo di confine, dove si tollerano centinaia di migliaia di migranti intrappolati in Libia e ridotti a schiavi e soggetti a ogni tipo di tortura.
Non possiamo pertanto non esprimere il nostro dissenso alla politica dei porti chiusi, auspicando un processo di negoziazione istituzionale all’interno dell’UE che, anche attraverso la riforma del Regolamento di Dublino, impegni tutti gli Stati membri.
Dal punto di vista culturale e sociale stiamo assistendo a una netta separazione tra chi persegue un’idea di società accogliente, e chi vorrebbe “aiutarli a casa loro”, rischiando di ridurre il dibattito pubblico su posizioni buoniste o razziste, senza che venga portato avanti un reale pensiero critico su un ripensamento del sistema che tenga conto sia delle criticità, sia del percorso finora costruito.
Abbiamo lavorato, in questi anni, insieme a volontari, servizi pubblici e organizzazioni del territorio valdostano, cercando di praticare un’accoglienza come ponte che le persone migranti hanno a disposizione per inserirsi nella società un’accoglienza fatta di istruzione, formazione, inclusione sociale, incontro e coinvolgimento delle comunità locali, un’accoglienza che diventi risorsa anche per i territori ospitanti.
Il ridimensionamento drastico delle misure atte a favorire l’integrazione previsto dal nuovo decreto (corsi di lingua, scuola, formazione, supporto psicologico e inserimento lavorativi) ai danni dei richiedenti asilo e le nuove restrizioni previste per il sistema SPRAR rischiano di smantellare quanto faticosamente costruito, generando così solo marginalità ed esclusione, terreni fertili per situazioni di devianza e microcriminalità che certamente non contribuiscono a creare una società più sicura.
Anche l’abrogazione del permesso per motivi umanitari rischia di andare nella stessa direzione, comportando un ulteriore aumento dei migranti irregolari, anche tra quelle persone già regolarmente presenti nel nostro territorio.
I nuovi permessi per “casi speciali di carattere umanitario” volti a tutelare persone con particolari vulnerabilità penalizzeranno proprio quei migranti che, in seguito a un percorso di integrazione sociale e lavorativa, costituiscono una risorsa per il nostro tessuto socio-economico.
Il fenomeno migratorio non è emergenziale, ma strutturale, e occorre gestirlo come tale per evitare costi e problematiche sociali. Perché non accettare che si possa migrare all’estero per migliorare la propria vita? O per aspirare a una esistenza dignitosa?
A oggi i visti d’ingresso in Italia per motivi di lavoro sono bloccati e l’unica possibilità rimane la richiesta di asilo; una riforma dei visti diminuirebbe il numero dei migranti in accoglienza e i relativi costi; inoltre permetterebbe alle persone di arrivare in maniera legale, senza più dare soldi alla mafia libica e rischiare la vita.
Crediamo che la sicurezza sia maggiormente garantita da modelli virtuosi di accoglienza diffusa, anche in famiglia, fatta da piccoli numeri che favoriscono i processi di integrazione e di conoscenza reciproca. Le risorse impiegate dall’accoglienza dovrebbero sostenere questi modelli virtuosi e la costruzione di servizi del territorio che possano supportare i migranti nell’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo della nostra regione e gli uffici che con essi si interfacciano.
Non possiamo condividere, né come cittadini, né come lavoratori, le misure contenute nel decreto immigrazione, considerandole svilenti per la dignità umana, oltreché controproducenti per gli obiettivi che cerchiamo di portare avanti con l’impegno professionale che ci siamo assunti, e per la reale sicurezza della società.
Riteniamo che una cultura inclusiva, capace di promuovere e integrare sia la scelta rispetto alla visione sottesa al decreto immigrazione, che porta in sé rischi di affollamento, ghettizzazione, spersonalizzazione, speculazione e sfruttamento lavorativo. E questo non solo per motivi di sicurezza, ma anche per salvaguardare la nostra stessa umanità e la dignità di altre vite, di ogni vita.
Ed è proprio all’interno di una cultura inclusiva che pensiamo si collochi il lavoro sociale che cerchiamo con fatica di realizzare giorno per giorno, lavoro che implica costruzione di legami e opportunità e che rischia sempre di più di essere trasformato in qualcosa di totalmente diverso: quello di notificatori di atti e controllori.
Siamo aperti e disponibili a un confronto che, mai come oggi, ci sembra indispensabile.

Seguono una cinquantina di firme di operatori/operatrici

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