“Se non torni con me faccio una strage”: operaio condannato a 30 mesi di carcere per stalking

L’uomo, un 57enne, era accusato di pedinamenti, telefonate e minacce alla donna con cui era stato sposato 28 anni prima di separarsi. In un caso, le avrebbe anche puntato un “oggetto appuntito nascosto nella carta”.
Cronaca

“Se non torni con me faccio una strage” e “Prima uccido te, poi uccido me”. Sono le frasi minacciose che un operaio cinquantasettenne avrebbe rivolto all’ex moglie, al culmine di una serie di episodi di pedinamento, minacce e telefonate ripetute. Per quei fatti l’uomo, accusato di atti persecutori, è stato condannato oggi, lunedì 9 luglio, dal giudice monocratico Marco Tornatore a 2 anni e 6 mesi di carcere.

La sentenza stabilisce, inoltre, che l’imputato debba risarcire con 8mila euro la donna con cui è stato sposato per ventotto anni prima di separarsi, costituitasi parte civile nel processo con l’avvocato Laura Marozzo. La coppia viveva ad Aosta e il periodo problematico sarebbe iniziato lo scorso gennaio. Il dato temporale ravvicinato aveva indotto la Procura, a seguito delle indagini della Squadra Mobile, a richiedere il giudizio immediato.

Alle telefonate continue dell’uomo si sarebbero aggiunti i pedinamenti, mentre la donna andava al lavoro. In due casi, stando a quanto emerso in aula, lui l’aveva minacciata di morte, una volta puntandole anche “un oggetto appuntito nascosto nella carta”. Dopo uno di quegli episodi, ha riferito il legale di parte civile, la donna si era recata al Pronto soccorso, dove le era stato diagnosticato “uno stato depressivo”, con cura “a base di calmanti”.

Nell’ambito del procedimento, l’ex marito era stato sottoposto anche al provvedimento cautelare del divieto di avvicinarsi alla persona offesa. L’accusa era rappresentata dal pm Carlo Introvigne, che aveva chiesto quarantacinque giorni di reclusione per l’imputato, a seguito della riqualificazione dei fatti contestati in minacce aggravate e continuate.

L’avvocato Stefano Marchesini, difensore dell’uomo, si era associato a questa visione dell’accaduto, sostenendo che l’imputato non fosse “capace di fare del male né a lei, né tantomeno a se stesso”. “Tutte le telefonate – ha aggiunto – erano mirate ad avere un colloquio, per tornare assieme. Ha sbagliato, avrebbe dovuto smetterla, ma questo era il tenore”. Chiedendo l’assoluzione per il suo assistito, si è quindi soffermato sul fatto che la separazione della coppia fosse stata consensuale.

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