Le intercettazioni fuori dal processo sullo smaltimento rifiuti del cantiere del parcheggio “Parini”

Le conversazioni, registrate dai Carabinieri, erano un elemento chiave dell’accusa verso i sei imputati. I magistrati hanno accolto l’eccezione difensiva, rendendole inutilizzabili, perché disposte in altro procedimento.
Il nuovo parcheggio dell'Ospedale Parini
Cronaca

Erano un “elemento fondamentale” dell’accusa, per dimostrare le ipotesi di reato di associazione a delinquere e smaltimento illecito di rifiuti a carico di sei imputati, tra imprenditori e professionisti. Parliamo di una serie di intercettazioni telefoniche ed ambientali che, in sede di udienza preliminare (tenutasi a Torino lo scorso 9 maggio), avevano fatto propendere il Gup per il rinvio a giudizio degli impresari Giuseppe Tropiano, Roberto Montrosset, Vincenzo Furfaro e sua figlia Rossella Furfaro, nonché del geometra Pasquale Toscano e dell'ingegnere Serafino Pallù

Stamattina, però, in occasione della prima udienza collegiale al Tribunale di Aosta, le difese hanno tolto dal mazzo del pubblico ministero Luca Ceccanti quella carta: i magistrati giudicanti (Massimo Scuffi, Paolo De Paola e Maurizio D’Abrusco) hanno infatti accolto l’eccezione sollevata dagli avvocati Romeo, Rebecchi, Rissio, Soro e Consol sull’utilizzabilità di quelle conversazioni, registrate dai Carabinieri. La motivazione è relativa al fatto che sono state disposte in altro procedimento, quello dell’indagine “Tempus Venit”, legata a fenomeni estorsivi.

Nel leggere in aula l’ordinanza che impedisce l’uso delle intercettazioni, il presidente del collegio Massimo Scuffi ha sottolineato che i fatti al centro del precedente processo sono “ontologicamente diversi e quindi non collegati”, neppure sul piano “investigativo”, a quelli cui si riferisce il procedimento iniziato stamane. A favore della tesi opposta si era pronunciato, prima della sospensione, il pm Ceccanti, secondo il quale l’estorsione si era consumata in un contesto che, per i protagonisti e gli ambiti coinvolti, non sarebbe completamente svincolato, quanto meno non investigativamente, da quello dello smaltimento illecito dei rifiuti.

L’intera udienza di oggi è stata dedicata all’esame delle eccezioni preliminari: le difese hanno eccepito, dapprima, la nullità dei rinvii a giudizio (contestazione respinta dal collegio dopo una breve camera di consiglio), dopodiché hanno concentrato le loro attenzioni sulla questione delle intercettazioni, trovando l’accoglimento da parte dei giudici. 

Secondo l’accusa, formulata al termine di un indagine nata appunto da una costola dell’inchiesta “Tempus Venit”, i sei imputati avrebbero ottenuto un "ingiusto profitto", valutato tra i 500mila e i 2 milioni di euro, sversando i rifiuti derivanti da varie attività edilizie tra cave, discariche non autorizzate a ricevere quel materiale e terreni di consorzi di bonifica in media Valle. Le operazioni sarebbero state compiute, stando agli inquirenti, anche falsificando i documenti di trasporto degli inerti. Stando a quanto ricostruito, i rifiuti sarebbero provenuti, tra l’altro, dal cantiere del parcheggio pluripiano “Parini”, prossimo all’ospedale aostano.

Per questo motivo, l’Amministrazione regionale aveva deciso, con una delibera di Giunta dello scorso marzo, di costituirsi in giudizio. Stamane, però, nessun legale dell’ente pubblico era in aula per concretizzare tale proposito. In proposito, dall’Ufficio legale della Regione sottolineano “l’assenza di elementi utili a quantificare l’eventuale danno subito dall’ente”, riservandosi l’azione civile all’esito del procedimento penale. La prossima udienza, nella quale è previsto l’inizio dell’esame dei testimoni, è stata fissata per l’11 gennaio, quella successiva per sette giorni dopo, il 18.

Dall'indagine da cui sono nate le accuse è scaturita anche l'istruttoria che ha condotto alla seconda interdittiva antimafia emessa nella nostra regione, all'indirizzo della Tra.Mo.Ter, società edile con sede in Saint-Christophe, di cui è legale rappresentante Rossella Furfaro. Stando alle risultanze valutate dal Gruppo interforze composto da Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Direzione investigativa antimafia e Ispettorato del lavoro, la società, pur presentando come amministratrice Rossella Furfaro, sarebbe stata "gestita di fatto" dal padre Vincenzo. Contro l’atto del Questore, la società aveva proposto ricorso al Tar, poi respinto dai giudici amministrativi.

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