La Cassazione: Lugo Perez agì “con l’intento di uccidere” Elio Milliery

Pubblicate le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 13 anni di carcere per il 37enne cubano ritenuto colpevole dell'omicidio volontario del 78enne, l'8 marzo 2015 a La Salle.
Osmany Lugo Perez
Cronaca

Dalle “modalità e dalle caratteristiche dell’azione criminosa”, nonché “dagli accertamenti autoptici sugli esiti lesivi prodotti dalle coltellate, sulle dimensioni e sul grado della penetrazione della lama del corpo”, emerge “la corretta qualificazione giuridica del fatto in termini di omicidio volontario”. Lo scrivono i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione, confermando (e rendendola definitiva) la sentenza di secondo grado nei confronti di Osmany Lugo Perez, il 37enne cubano condannato a tredici anni di carcere per aver ucciso il 78enne Elio Milliery, la sera dell’8 marzo 2015 a La Salle. L’anziano era stato trovato cadavere, con addosso i segni di 49 coltellate, non lontano dalla sua baita.

Il verdetto della Suprema corte era stato emesso dopo l’udienza del 17 luglio scorso e negli ultimi giorni è avvenuta la pubblicazione delle motivazioni. Il ricorso proposto dall’uomo, arrestato la sera dei fatti dai Carabinieri ed in cella a Brissogne da allora, è stato ritenuto “manifestamente infondato” e dichiarato inammissibile. I sei motivi in cui si articolava l’impugnazione riguardavano lo svolgimento delle indagini, la formulazione delle accuse e il non riconoscimento di attenuanti dovute.

In prima battuta, il cubano lamentava il “mancato espletamento di una perizia diretta ad accertare l’incapacità totale o parziale di intendere e di volere”, in ragione – in particolare – delle indicazioni rese dalla sua ex moglie (al centro della lite per gelosia scattata tra Lugo Perez e Milliery) “sull’uso smodato di cocaina ed alcolici all’epoca del fatto”. In proposito, per la Cassazione, la sentenza dà atto che “le problematiche di dipendenza” non erano “neanche supportate da un parere tecnico”, che “gli stati di alterazione non avevano compromesso nemmeno parzialmente l’imputabilità” e che le “dipendenze da alcool o da sostanze stupefacenti” non avevano assunto carattere tale “da concretizzare una cronica intossicazione”.

Il ricorso di Lugo Perez eccepiva poi la mancata ricerca, sul coltello trovato non lontano dal cadavere del 78enne, di impronte digitali o tracce biologiche dalle quali estrarre il Dna, al fine di compiere dei confronti con i profili di imputato e persona offesa. Al riguardo, la Corte d’appello “ha condiviso le conclusioni pienamente convergenti” di tre esperti in medicina legale, secondo i quali quell’Opinel “non poteva essere stato adoperato per uccidere”. Inoltre, per i giudici di Cassazione, il ricorrente non è riuscito a “scardinare il logico e adeguato apparato argomentativo” relativo “alla certezza che fosse stato adoperato un coltello di dimensioni più elevate” di quello rinvenuto sulla scena del crimine (nonostante l’arma del delitto non sia stata mai ritrovata).

Quanto alla qualificazione dei fatti, che il condannato riteneva addebitabili come eccesso colposo di legittima difesa o omicidio preterintenzionale, la Suprema Corte indica quelle addotte dalla sentenza impugnata per individuare il “dolo di omicidio”, come “argomentazioni puntuali, lineari e coerenti, frutto di un’analisi dettagliata e di una lettura coordinata degli elementi probatori”, individuando il “movente di gelosia” alla luce di due testimonianze e “della totale inverosimiglianza della tesi difensiva”. In merito, rilevano anche il numero e la profondità “delle ferite inferte in parti vitali, mediante coltello ad alta capacità lesiva”, agendo “con l’intento di uccidere” Milliery. Anche sugli altri aspetti sollevati, dal profilo maggiormente tecnico-giuridico, la Cassazione ha riconosciuto la correttezza del verdetto dei giudici torinesi.

Al Tribunale di Aosta, dov’era stato giudicato con rito abbreviato, al cubano erano stati inflitti, il 15 giugno 2016, quattordici anni di reclusione (pm Luca Ceccanti). La riduzione di dodici mesi in appello, con sentenza pronunciata il 5 luglio 2017, era scattata per l’applicazione parziale delle attenuanti generiche (non applicate nel grado precedente, perché il giudice Eugenio Gramola aveva riconosciuto “efferato” il delitto). L’imputato era difeso dall’avvocato Davide Meloni, mentre la famiglia dell’anziano era parte civile con l’avvocato Genny Bouc. Con la pronuncia della Cassazione, cala definitivamente il sipario sui fatti di quella serata.

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