Incidenti sul lavoro, impresario condannato per la morte di un artigiano in un cantiere ad Ayas

Il giudice Tornatore ha inflitto 8 mesi di reclusione (pena sospesa) a Fabrizio Merlet, titolare della ditta che eseguiva i lavori nel cantiere di Ayas dove, il 25 ottobre 2017, perse la vita l'idraulico Piero Jaccod, 44 anni.
Il luogo dell'incidente
Cronaca

Si è chiuso con una condanna a 8 mesi di reclusione (pena sospesa), per l'impresario Fabrizio Merlet (53 anni), il processo scaturito dalla morte dell'artigiano 44enne Piero Jaccod, avvenuta il 25 ottobre 2017 in un cantiere a Periasc di Ayas. L'uomo, difeso dall'avvocato Jacques Fosson, era accusato di omicidio colposo. Per lui, il pm Francesco Pizzato, intervenuto a sostenere l'accusa in aula dopo le indagini coordinate dai colleghi Eugenia Menichetti e Carlo Introvigne, aveva chiesto 12 mesi di reclusione.

Per l'altro imputato, l'architetto Alex Gaspard (35), il giudice monocratico Marco Tornatore ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, perché dalla discussione di stamane sono emersi possibili profili di responsabilità in qualità di direttore dei lavori, mentre gli addebiti contenuti nel capo d'imputazione erano relativi esclusivamente al ruolo di progettista. Per lui si profila quindi una riformulazione dell'accusa, da parte della Procura, con nuova successiva richiesta di rinvio a giudizio.

Il pomeriggio dell'incidente, secondo la ricostruzione operata in aula dal pm, la vittima dell'incidente stava posando delle tubazioni fognarie all'interno dello scavo effettuato da un dipendente dell'impresa di Merlet, l'escavatorista Flavio Heresaz, ad una profondità tra i 2 metri e 20 e i 2 metri e 40. Improvvisamente, ha detto il pm, Jaccod “ha una difficoltà e chiede al collega di scendere dallo scavatore, raggiungerlo ed aiutarlo. Quando hanno finito e stanno per uscire, crolla la parete che travolge l'idraulico”, uccidendolo. Heresaz riesce a liberarsi e riporta lesioni dalla prognosi “inferiore a 40 giorni, per cui non si procede”, vista “l'assenza di querela”.

Per il pm, a Merlet, “indicato come unico esecutore dei lavori”, spettava “il governo del cantiere”. Da ciò, le contestazioni di aver “omesso l'approntamento dell'armatura dello scavo effettuato in via esclusiva da un suo dipendente”, nonché di aver lasciato che il materiale di riporto venisse accumulato ai margini, finendo con l'appesantire il versante. Inoltre, nella tesi accusatoria, l'impresario non avrebbe provveduto all'aggiornamento professionale di Heresaz (che in interrogatorio ha dichiarato di non aver ricevuto indicazioni sull'opera e, per il pm, è stato letteralmente “mandato allo sbaraglio”), né all'approntamento del piano operativo di sicurezza.

Argomenti che l'avvocato Fosson – dopo aver premesso che la difesa ha voluto privilegiare, rispetto al muovere contestazioni sulle accuse, “il risarcimento alle persone offese” – ha definito “infondati”. Il piano operativo della sicurezza era quello redatto per i lavori di costruzione della stalla di cui avveniva l'allacciamento (rivelatosi necessario in un secondo tempo) ed in quello “i rischi erano valutati tutti. Si parla proprio di sbancamento. Si dice che oltre il metro e cinquanta di scavo le pareti andavano armate”.

Sulla formazione, poi, “Heresaz aveva fatto una decina di corsi come escavatorista” e, quanto all'ammassamento del materiale ai margini, “Merlet non era in cantiere, quindi al limite gli andrebbe contestata una condotta omissiva”. Però ha mandato a fare il lavoro “una persona con trent'anni di esperienza, che di scavi ne avrà fatti a centinaia”, ma costui ha compiuto “una cosa priva di senso”. “Dalle indagini – ha sottolineato l'avvocato – emerge che Jaccod abbia chiesto di cambiare la benna”, mettendone una più piccola, ma “è evidente che così si aumentassero i rischi di crollo”.

Il legale ha quindi chiuso invocando l'assoluzione per il suo assistito: “ha già sofferto una misura molto significativa (l'interdizione all'esercizio dell'attività edile per sei mesi, ndr.)”, durante la quale “i dipendenti sono stati, per tutto il periodo, in cassa integrazione. Se doveva essere in qualche modo punito, è ampiamente avvenuto”.

A Gaspard, il pm Pizzato aveva contestato, sia come progettista, sia come direttore dei lavori, “l'omessa predisposizione di un progetto completo”, la mancanza di “vigilanza sul cantiere” (“risulta fosse presente il giorno dell'incidente, ma si era allontanato prima”) e l'“omissione di aver richiesto a Merlet di redigere un piano di sicurezza”. Nella sua requisitoria, finita con la richiesta di dieci mesi di condanna per l'architetto, il sostituto procuratore si era anche soffermato sulla condotta dei due lavoratori, affermando che “Heresaz non ha disatteso alcuna indicazione, anche perché non ne ha ricevute dal datore di lavoro”, mentre “Jaccod era addetto unicamente alla posatura delle tubazioni e non aveva ruoli sullo scavo”.

Sul coinvolgimento di Gaspard come responsabile della direzione lavori, l'avvocato difensore Ivan Pasquettaz, ha ribadito che la citazione a giudizio è avvenuta “come progettista” e le violazioni addotte dal pm “non si possono applicare a lui in quanto tale”, fatto che ne esclude la “rimproverabilità”, perché in veste di libero professionista occupatosi degli elaborati tecnici “non ha posizione di garanzia”.

Il legale ha quindi messo l'accento sul fatto che i due lavoratori all'opera quel giorno, cioé Heresaz e la vittima dell'incidente, “hanno compiuto almeno tre scelte anomale”, scavando “molto più in profondità delle indicazioni progettuali”, usando “una benna più piccola di quella iniziale, aumentando i rischi di crollo” ed entrando “nello scavo, mentre le tubazioni si posano normalmente da fuori, con la corda”. Dopodiché, Gaspard era “progettista, non lo si può chiamare in causa come direttore dei lavori”. Un'affermazione ritenuta valida dal giudice per il processo odierno, celebrato con rito abbreviato, ma – alla luce del rinvio del fascicolo in Procura – non in valore assoluto.

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