Il Tar: “no” alla vendita di 500 Fontine dell’azienda Jacquemod

Per i giudici amministrativi, l’assoluzione nel processo penale di tre componenti della famiglia non riguarda le circostanze addotte dall’Usl negli atti con cui ha vietato l’immissione in commercio dei formaggi.
Fontina d'alpeggio - foto d'archivio
Cronaca

Le 481 forme di Fontina prodotte nell’azienda agricola Jacquemod di La Thuile, nell’estate 2017, non possono andare sul mercato. Lo ha stabilito il Tribunale Amministrativo Regionale, respingendo il ricorso presentato dalla ditta contro i provvedimenti dell’Unità Sanitaria Locale che avevano disposto il “divieto di immissione in commercio” dei formaggi.

Oltretutto, se l’azienda sanitaria aveva limitato, con i suoi atti, “l’ambito di consumo dei prodotti al solo nucleo familiare della società agricola”, le osservazioni contenute nella sentenza del Tar antepongono “il superiore interesse alla tutela della salute”, finendo per vietare tale possibilità.

Le forme, del valore di circa 40/50mila euro, erano state al centro di un sequestro scattato nell’ambito di un procedimento penale, chiusosi con l’assoluzione di tre componenti della famiglia, lo scorso 29 giugno, dalle accuse – a vario titolo – di frode nell’esercizio del commercio, violazione della disciplina igienica della produzione degli alimenti e falso ideologico.

Il Tribunale, nel sentenziare, aveva decretato la restituzione dei formaggi agli Jacquemod, ma pochi giorni dopo l’Usl era intervenuta con i provvedimenti restrittivi. Secondo il Tar, tuttavia, “le statuizioni del giudice penale non afferiscono” alle circostanze addotte dall’azienda sanitaria nei provvedimenti impugnati, “relative alla inidoneità sotto il profilo igienico-sanitario dei tramuti” ove è avvenuta la produzione.

L’Unità Sanitaria Locale, per i giudici amministrativi (che avevano già respinto, in ottobre, l’istanza di misura cautelare presentata dall’azienda agricola), “risulta aver correttamente applicato il principio di prevenzione”, in “conformità alla normativa europea” e “in considerazione delle accertate non adeguate condizioni igieniche e sanitarie dei tramuti, tali da arrecare potenziali pericoli alla salute dei consumatori”.

Peraltro, “le pessime condizioni dei tramuti”, come descritte negli atti dell’Usl (in un controllo ufficiale veterinario si parla, tra l’altro, di “piastrelle disconnesse con impronte di terra e letame”, nonché della presenza di “materiale estraneo alla struttura e materiale potenzialmente pericoloso”), sono “certamente tali da far sorgere più di un dubbio in ordine non solo alla qualità, ma soprattutto alla sicurezza dei prodotti”, che restano quindi invendibili.

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