Costi politica, i giudici: “Inverosimile la tesi che non fossero consapevoli di ciò che facevano”

Pubblicate le motivazioni della sentenza di secondo grado di Torino. I giudici definiscono la legge sui fondi ai gruppi  “comoda per chi l’aveva concepita come legislatore e per chi come componente dell’assemblea legislativa l’applicava".
Tribunale di Torino - Sentenza costi della politica
Cronaca

 “Una legge tendenzialmente comoda per chi l’aveva concepita come legislatore e per chi come componente dell’assemblea legislativa l’applicava senza attivarsi per modificarla”.  E’ quanto si legge nelle 186 pagine delle motivazioni della sentenza di secondo grado sui costi della politica redatta dai giudici della prima sezione penale della Corte di Appello Elisidoro Rizzo, in qualità di presidente del Collegio Furio Pellis e Gianni Macchioni.

“Comoda perché trattava …. con modalità oggettivamente elusive di qualunque serio onere responsabilizzante nei confronti della collettività cui quel denaro apparteneva” scrivono i giudici mettendo nero su bianco “una ferma censura” alle sentenze di assoluzione di primo grado “per quanto attiene l’elemento soggettivo”.

“Appare francamente singolare – proseguono i giudici –  la prospettazione secondo la quale un pubblico ufficiale, oltretutto destinatario di un mandato popolare, non sarebbe in grado di rendersi conto di violare una norma penale nel momento in cui, con riferimento al denaro pubblico affidatogli dalla collettività a determinati fini, se ne serva per interessi personali propri o altrui, ivi compresi quelli del partito politico cui appartiene, o comunque per fini che indiscutibilmente nulla abbiano a che vedere con tali medesimi fini.”

Secondo la prima sezione penale della Corte di Appello non appare plausibile, così come sollevato dalle difese, il ragionamento per cui “sarebbe indice di tale inconsapevolezza la scelta dell’agente di compiere un simile utilizzo illecito in modo rintracciabile da parte di terzi”. E ancora "ferma restando l'assoluta inverosimiglianza della tesi secondo la quale gli imputati, malgrado le loro responsabilità nei confronti della collettività che volontariamente rappresentavano, non fossero consapevoli di ciò che facevano, quando maneggiavano il denaro loro affidato…una simile eventualità, quand'anche fondata, ai fini che qui interessano non avrebbe alcun rilievo".

Prima di addentrarsi nella trattazione delle singole posizioni i giudici spiegano il metro di giudizio adottato. “Ogniqualvolta ci si trova di fronte ad uscite non documentate, si è ritenuto di dover accettare le deduzioni degli imputati, per quanto generiche o vaghe fossero, ovvero per quanto poco o nulla documentate fossero, purché astrattamente compatibili con il fine pubblico della spesa previsto dalla legge e di dover quindi confermare la sentenza di primo grado per assenza di prove sull’appropriazione o sulla distrazione delle relative somme. Solo nel caso in cui tali deduzioni si siano rivelate, per una qualche ragione, positivamente infondate o totalmente prive di qualunque tipo di verosimiglianza ovvero assunte così come riferite, dessero conto in realtà di un utilizzo illecito del denaro pubblico, si è ritenuto invece sussistente l’illecito penale”. E più avanti portano un esempio: “Una spesa al ristorante può essere ritenuta lecita se ad esempio risulta sostenuta per un incontro di carattere istituzionale o anche politico, al contrario estranea al vincolo di destinazione se risulta sostenuta in vacanza assieme ad un’amica” .

Dei 27 imputati il 14 febbraio scorso in 15 vennero condannati con accuse a vario titolo, di peculato, finanziamento illecito al partito e indebita percezione di contributi pubblici.  L’assoluzione arrivò per tutti gli imputati dell’Uv, per Chantal Certan di Alpe, Davide Avati, Erika Guichardaz, Giuseppe Rollandin, Giovanni Sandri, Martino Emilio Zambon del Pd, André Lanièce di Stella Alpina e Enrico Tibaldi Pdl.

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