Ventiquattro ore in sella alla mountain bike: Evi Garbolino vince il Mondiale WEMBO

“Era una scommessa con me stessa. Volevo dimostrare che, pur essendo una mamma che lavora, posso fissarmi un obiettivo a lungo termine e raggiungerlo nonostante i sacrifici e le difficoltà”.
Evi Garbolino premiata al Mondiale WEMBO
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“Era una scommessa con me stessa. Volevo dimostrare che, pur essendo una mamma che lavora, posso fissarmi un obiettivo a lungo termine e raggiungerlo nonostante i sacrifici e le difficoltà”. Evi Garbolino, 28 anni ancora da compiere, fotografa, la propria scommessa l’ha vinta: finire il WEMBO World 24 Hour Solo Mountain Bike Championship (una gara endurance di 24 ore in mountain bike). Ancora più prestigioso, benché per lei sia secondario, il fatto di aver vinto il Mondiale WEMBO (acronimo di World Endurance Mountain Bike Organisation) della propria categoria, donne 23-29 anni, benché il titolo vero e proprio vada solo alle professioniste della categoria Elite. A Finale Ligure la giovane valdostana ha percorso, nelle 24 ore di durata della gara, 215 chilometri, piazzandosi diciassettesima nella classifica generale femminile. “L’ho fatta per me, fino a che non sono arrivata non ho neanche guardato la classifica”, racconta.

“In totale sono stata in sella circa 18 ore”, spiega Garbolino, “ho dormito una quarantina di minuti e ogni sei ore facevo una mezz’oretta di pausa. Le gambe andavano, ho passato il tempo ad aspettare una crisi che, per fortuna, non è mai arrivata”. Il percorso era abbastanza tecnico, con diverse pietre ed un alto rischio di bucare, e al terzo giro (quindi attorno al trentesimo chilometro) la fortuna non l’ha aiutata, quando è stata vittima di una caduta che le ha provocato dolore al polso. Evi, però, non si è lasciata abbattere ed è riuscita a mantenere la concentrazione e la lucidità. “Parte del merito va ai miei fratelli Arald e Omar, che mi hanno fornito assistenza durante tutte le 24 ore. Pur essendo una gara in solitaria, senza assistenza non vai da nessuna parte. Non solo per quanto riguarda borracce o rifornimenti: vedere una faccia amica ti dà una grande forza. E un enorme grazie va anche a Giulia, che è stata con mia figlia Mya: fare 24 ore con lei è molto più dura che fare 24 ore di gara!”. Prima di tagliare il traguardo ha accostato verso le transenne, ha chiesto all'amica di sporgerle la bimba, e con lei in braccio ha percorso gli ultimi metri di percorso.

La forza di volontà, insomma, è tutta farina del suo sacco. Evi spiega così com’è nata quest’idea: “Ho sempre fatto gare corte, prima di smettere. Negli ultimi anni ho provato a fare dei giri più lunghi anche con mio papà [Rudi, personalità nota nel mondo della bicicletta, ndr] e mi sono detta: ‘Proviamo’. È nato come un gioco, ma poi è diventata una fissazione, nel senso buono”. La giovane ha quindi iniziato ad allenarsi seriamente per raggiungere quest’obiettivo, con una tabella che si è preparata da sola per partire da novembre (“anche se, in realtà, ho iniziato ad allenarmi a febbraio, ma vabbeh”, dice ridendo). “Uscivo in bici cinque giorni a settimana, ho fatto più di 2000 chilometri e 100 ore di allenamenti. Ho messo la bici al primo posto ed ho fatto molti sacrifici, tra il lavoro, mia figlia e la famiglia. Però me la sono vissuta benissimo, ero contenta”.

Il prossimo obiettivo potrebbero essere gli italiani marathon, ma ancora è presto per pensarci. “Anche in queste gare rimango me stessa. Nel Toboga Stadium scherzavo e facevo la scema, mi fermavo a bere delle birre: queste cose, per me, bisogna sempre prenderle goliardicamente”.

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