“Furbetti del cartellino” all’Usl: tutte le contestazioni della Procura ai sei indagati

Secondo le indagini delle Fiamme gialle, uno dei dipendenti, in un giorno, "non era mai stato al lavoro", ma sul suo cartellino "aveva lavorato per 7,51 ore". Contestati, a vario titolo, truffa e violazione delle norme generali sul pubblico impiego.
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Cronaca

Sono messe nero su bianco con date ed orari al minuto, nelle carte delle indagini preliminari chiuse di recente dal pubblico ministero Luca Ceccanti, le contestazioni mosse ai sei dipendenti dell’Unità Sanitaria Locale che la Procura, al termine delle attività investigative affidate al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di finanza, ha individuato quali “furbetti del cartellino”.

I casi riscontrati dalle Fiamme gialle, tramite appostamenti e utilizzando anche una telecamera occultata nei pressi del timbratore della sede aziendale di via Guido Rey, sono diversi tra loro. L’assistente amministrativo I. C., 45enne di Sarre, è indagato per essere ricorso ad “artifici e raggiri”, consistiti “nell’annotare a mano, sul registro di controllo delle presenze” che il 17 giugno 2016 aveva “fatto ingresso al lavoro alle ore 8.32 ed era uscito alle 16.49”, successivamente “confermando tale dato nel cartellino definitivo”.

Per gli inquirenti, quel giorno, “in realtà, non era mai stato” in ufficio e avrebbe così “falsamente dichiarato” di aver essere stato al suo posto “per 7,51 ore”. Un’attestazione tale da indurre “in errore funzionari e dipendenti dell’azienda i quali pagavano il suo stipendio” per ore, di fatto, non lavorate, procurando al dipendente “un ingiusto profitto di 129,58 euro lordi”, con “correlativo danno” per l’USL. Per il pm, le registrazioni fittizie della presenza integrano il reato di truffa, mentre l’annotazione manuale di entrata ed uscita (con “alterazione dei sistemi elettronici di rilevamento della presenza”), una violazione del decreto legislativo sulle “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (n. 165/2001)

Gli stessi addebiti vengono avanzati dalla Procura al coadiutore amministrativo F. E., 42enne di Gressan, che avrebbe fatto ricorso alle medesime modalità di annotazione manuale sul cartellino provvisorio, trasferendo poi gli orari su quello definitivo, in tre diversi episodi. Nel dettaglio, avrebbe certificato: di aver lavorato continuativamente dalle 9.34 alle 16.16 del 14 giugno 2016 (mentre, secondo quanto accertato nelle indagini, “si era assentato a partire dalle ore 14.20”); di essere entrato in ufficio alle 8.40 del 19 ottobre 2016 (per gli inquirenti l’ingresso effettivo sarebbe avvenuto alle 11.04); di essere uscito dall’ufficio alle 17.50 il 31 ottobre 2016 (quando avrebbe lasciato il lavoro dopo le 15.09). Il danno all’Azienda cagionato dalle ore in realtà non lavorate è stato quantificato, in questo caso, in 109,07 euro lordi.

L’ipotesi di truffa e di violazione del decreto in materia di impiego pubblico è relativa infine agli assistenti amministrativi E.D. 44enne di Aosta, e A. L., 36enne di Sarre, per un’annotazione a mano provvisoria, poi resa definitiva, ognuno. La prima il 1° ottobre 2016 avrebbe “segnato” la fine della giornata lavorativa alle 16.15, ma per gli inquirenti “era uscita prima delle ore 15.08”, con un “ingiusto profitto” di 18,30 euro lordi. Il secondo, invece, il 12 ottobre di un anno fa, avrebbe attestato di aver lasciato l’ufficio alle 15.30, quando – stando agli accertamenti condotti dai finanzieri comandati dal tenente colonnello Piergiuseppe Cananzi – “era uscito dal lavoro prima delle 13.09”, percependo così indebitamente 46,65 euro lordi.

Si limita invece all’aver violato, in concorso, le “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” l’accusa a carico di A. P., 48enne di Châtillon, e di P. P., 45enne di Aosta. Per gli inquirenti, il 26 ottobre 2016 A.P. avrebbe effettuato la timbratura elettronica alle 16.44 anche P.P., che sarebbe uscita prima, lasciando il “badge” per la “strisciata” alla collega. Per C. E., D. e L., il pubblico ministero ravvisa anche l’aggravante “di aver commesso il fatto in danno di ente pubblico”.

 

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