Fratelli Cavorsin, quando il Tot Dret è una scommessa di famiglia nata per scherzo

Christian, Raoul e Robert saranno ai nastri di partenza della gara da 130 km. Tutta colpa di una sfida goliardica lanciata da Jean-Claude, costretto allo stop da una frattura al perone
Christian, Robert e Raoul Cavorsin
Speciale Trail, Sport

C’è fermento a Gressoney, dove arrivano a frotte i partecipanti al Tor des Géants e dove, mercoledì 13 settembre, prenderà il via la prima edizione del Tot Dret. L’ampia partecipazione di valdostani (circa la metà dei 375 iscritti) lascia intendere che c’è molta voglia di mettersi alla prova sui sentieri di casa, senza per forza fare la pazzia di affrontare il Tor: sono infatti “solo” 130 i chilometri, con un dislivello di 12.000 metri.

Un filo di sana incoscienza, però, ci vuole, e c’è chi ne è consapevole. Christian, Raoul e Robert Cavorsin, di Verrayes, hanno deciso di accettare la sfida goliardica lanciata dal fratello Jean-Claude: “Tutto è nato durante un pranzo di famiglia un po’ impegnativo. Dopo qualche aperitivo Jean-Claude dice a nostro cugino Claudio Distort: “Dai, facciamo il Tot Dret”. Poi ha allargato l’invito a tutta la famiglia, anche agli elementi più improbabili. La questione è rimasta in sospeso, non sapevamo se fosse una boutade o una cosa seria. Poi Jean si è iscritto ufficialmente, ed ormai sarebbe stato da vigliacchi tirarci indietro”. Christian racconta così “il mito fondativo” di questa pazzia. “Ho lanciato l’amo tra un prosecco e l’altro. Qualcuno ha abboccato subito, poi sono arrivati gli altri, un po’ per orgoglio”, conferma Jean-Claude. “Jean-Claude però ha alzato troppo l’asticella, non ha retto lo stress psicologico e si è rotto il perone”, lo prende in giro Christian. Dei quattro fratelli Cavorsin, Jean-Claude è il più sportivo: istruttore di parapendio, finisher alla CCC, l’anno scorso al 4K Endurance Alpine Trail e anche al Tor des Géants (ma nel 2015, quando la gara fu fermata a Gressoney), oltre a qualche trail più corto come al Lago d’Orta o Lavaredo. “Ho sempre fatto queste gare in maniera simpatica, con il solo scopo di portarle a termine ma senza esagerare, anche per mantenere la mia pancia da cinquantenne a dimensioni normali”. Jean-Claude confessa di non aver avuto quest’idea a priori, soddisfatto già dall’aver portato a termine il 4K. In passato era già riuscito a convincere Christian, l’intermedio, sportivamente parlando, a partecipare al trail del Lago d’Orta e di Lavaredo. Poi c’è Raoul: “Io non ho mai fatto gare, né trail, né niente, e lo si capisce dalla mia zavorra: inizio subito con il carico grosso, come i saltatori con l’asta che puntano fin dal principio alla misura alta”. Infine Robert, che però lavora in Svizzera e non è presente all’incontro: “Con lui è proprio un esperimento sociale, se ce la fa lui vendiamo i copyright della sua storia”, ride ancora Christian. Insieme a loro ci saranno i cugini, Claudio e Corrado Distort.

Si preannuncia dunque un’epopea tutta da seguire, una di quelle avventure nate per scherzo che possono trasformarsi in impresa. “Io all’inizio ero contrario, sentivo puzza di bruciato. Però ero rimasto l’unico ed ho subito le pressioni psicologiche del gruppo”, dice Raoul. L’assenza dello “zoppo” Jean-Claude cambia un po’ le carte in tavola, perché lui era l’esperto, anche se darà una mano dal punto di vista organizzativo. Una frattura da stress al perone subita il 19 agosto lo terrà fuori dai giochi, lui che aveva avuto questa pazza idea. “Mi è sempre piaciuto andare in montagna, e credo che i trail abbiano ravvivato questa attività: dandoti un obiettivo per camminare o correre hai anche uno stimolo in più per farlo”, spiega. “E, come in tutte le famiglie numerose, le occasioni per stare insieme sono poche. L’idea di passare qualche ora con i miei fratelli ed i miei cugini è stata una delle motivazioni principali alla base di questa sfida. Lo spirito è quello di farci due risate e prenderci in giro, principalmente”. “Devo ammettere che grazie a questa follia abbiamo potuto sperimentare cose nuove e vedere posti fantastici”, racconta Christian. “Ci siamo un po’ allenati insieme soprattutto sui lunghi, quando abbiamo potuto, partendo anche per spedizioni di una decina di ore. Poi con il lavoro e le vacanze non è stato facile farlo insieme”. Tutti, tranne Robert. E' Christian a delineare il personaggio: “Lui non si è praticamente mai allenato, quasi non sa neanche cosa siano i ramponi. Ancora mi aspetto qualche trovata “estetica” sulla linea di partenza. Poi non è detto, magari esce fuori un po’ di machismo e competizione tra di noi, lui è abituato al lavoro fisico ed ha una resistenza al sonno che noi ci sogniamo”. Raoul, invece, aveva i suoi stimoli: “Abbiamo fatto Valtournenche-Gressoney quando c’era la festa della birra, ed ho camminato volentieri. In generale, le sagre sono state un ottimo stimolo per allenarmi”.

Per la corsa c’è già una sorta di strategia di squadra, che è quella di rimanere uniti almeno fino ad Oyace, per darsi supporto fisico e morale, una solidarietà di gruppo anche per mantenersi lucidi tutti insieme. D’altra parte, il motto di Jean-Claude per questo Tot Dret è “Ogni tappa è una vittoria”. Una volta arrivati a Oyace si faranno le valutazioni del caso, tenuto anche conto di cancelli orari molto stretti che non consentiranno soste lunghe per bere e mangiare: “Dovremo fare come i criceti e masticare per strada”, scherza Raoul. Christian spiega che, una sera, hanno provato a fare il tratto da Oyace a Saint-Rhémy, “abbastanza in linea con la tartaruga che vedi sulle tabelle orarie del Tot Dret”, salvo poi prendersi una lavata di capo a casa: “Ho detto di non aspettarmi per cena, sono rientrato alle sette di mattina”. Sarà difficile trovare punti in cui correre, ma il gruppo punterà molto sulla camminata rapida, anche perché ci sono alcuni punti che richiedono attenzione, soprattutto di notte, con l’incognita del meteo. Particolarmente dura si presenta la discesa dal Col Vessona.

Come si suol dire in questi casi, quello che conta è arrivare e divertirsi: “Finché staremo bene ci divertiremo, perché la compagnia è molto promettente”. Chissà che non ci si riveda sui sentieri, nei prossimi giorni. E, se dovessero riconoscermi, magari potrò “vendicarmi” di alcuni videomessaggi inviati dalla Corsica da una vendicativa amica comune in cui anche Christian e Robert mi auguravano “buon lavoro”, augurando loro, a mia volta, una “buona passeggiata da 130 chilometri”.

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