Eseguito ad Issogne uno dei 48 arresti della maxi-operazione “Terramara” contro la ‘ndrangheta

Elena Hanganu, 47 anni di origini romene, abitava in bassa valle da due anni, dove aveva sposato un valdostano. Secondo gli inquirenti, nel 2013, quando ancora viveva in Calabria, avrebbe occultato un’arma a disposizione del clan Fazzalari.
Cronaca

Abitava ad Issogne da due anni, dove aveva sposato un valdostano, la 47enne di origini romene Elena Hanganu, arrestata dai Carabinieri alle prime luci dell’alba di oggi, martedì 12 dicembre, in esecuzione di uno dei quarantotto provvedimenti di custodia cautelare disposti nel quadro dell’operazione “Terramara-Closed”, con cui la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Reggio Calabria ha assestato un colpo alla ‘ndrangheta che gli inquirenti non esitano a definire storico.

La donna, portata in carcere a Torino, è accusata di favoreggiamento. Dall’attività investigativa svolta durante le indagini (sviluppate in cinque diversi segmenti condotti, tra il 2012 e il 2016, da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, concentrati sull’articolazione di Taurianova dell’organizzazione criminale calabrese) è emerso che avrebbe dato supporto al clan Fazzalari, nascondendo un’arma a disposizione della famiglia. La contestazione che riguarda l’arrestata è relativa al 2013, quando viveva e lavorava ancora in Calabria, prima di trasferirsi nella nostra regione. All’atto dell’arresto in bassa valle, i militari hanno eseguito anche una perquisizione domiciliare, nella quale non è stato tuttavia rinvenuto nulla di pertinente all’indagine.

Uno dei filoni investigativi ha consentito di evidenziare – hanno spiegato gli inquirenti al termine dell’operazione – come la famiglia Fazzalari, assieme ad altre, “operasse in un clima di intimidazione ambientale tale da assumere il controllo e la direzione di settori nevralgici dell’economia della zona”. Tra questi, le intermediazioni immobiliari, la produzione di ortaggi in serre e le energie rinnovabili. In particolare, lo spaccato restituito dalle indagini è quello di una ‘ndrangheta “in continua ricerca di terreni da acquisire attraverso prestanome, imponendo ai proprietari che li cedevano la scelta degli acquirenti”.

Secondo quanto appurato, i proventi ottenuti in questo modo venivano “reinvestiti in ulteriori attività imprenditoriali, cercando di piegare al volere dei clan l’operato della pubblica amministrazione”. Il dato definito “più allarmante” dalla Dda di Reggio è infatti rappresentato dalla posizione del comune di Taurianova (già sciolto per infiltrazione mafiosa nel 1991, poi nuovamente nel 2009 e  ancora nel 2013), il cui sindaco Domenico Romeo (tra i quarantotto arrestati di oggi, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa) “‘scende a patti’ con le cosche dominanti”, arrivando a rappresentarne il “referente politico” e, in occasione delle elezioni comunali del 2011, culminate con la sua rielezione, “si rivolge alle famiglie mafiose per ottenere voti”

In cambio, per gli inquirenti, assicura “il suo personale impegno a rilasciare concessioni edilizie sui fondi agricoli per l’avvio di attività imprenditoriali finalizzate allo sfruttamento delle energie rinnovabili da parte di aziende riconducibili alla ‘ndrangheta”. In manette è finito anche l’ex assessore comunale Francesco Sposato, accusato di associazione mafiosa, perché ritenuto responsabile dell’“opera di mediazione” con la famiglia Sposato (collegata, con autonomia funzionale, alla cosca Zagari-Fazzalari-Viola), mirata ad influire “sull’iter di aggiudicazione dei lavori alle ditte ad essa collegate” (in particolare, nell’appalto per la gestione pluridecennale del cimitero di Iatrinoli). A seguito dell’opposizione a tale disegno dalla giunta capitanata da Romeo, ebbe inizio una serie di pressioni sul Sindaco, con minacce ed atti di danneggiamento.

Delle quarantotto persone arrestate a seguito delle ordinanze di custodia cautelare emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari di Reggio Calabria, quarantaquattro sono in carcere e quattro ai “domiciliari”. Nell’ambito dell’operazione “Terramara-Closed”, le forze dell’ordine hanno proceduto inoltre al sequestro, ai fini della confisca di: quote di capitale e patrimoni aziendali di ventidue tra imprese e società, operanti nel settore edilizio, della ristorazione, ortofrutticolo e dei trasporti; cinquantacinque fabbricati, anche nelle province di Rieti e Pesaro; sessantacinque terreni; quindici autoveicoli. Il valore complessivo dei beni su cui sono stati apposti i sigilli è di circa 11,8 milioni di euro.

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