Era detenuto nel carcere di Brissogne ed aveva richiesto di presenziare ad un processo alla Corte d’Appello di Venezia, in cui era imputato per ricettazione e truffa continuati. L’udienza però si è svolta in sua assenza, chiudendosi il 4 marzo 2016 con una condanna, e l’uomo, un sessantunenne, ha visto accolto il suo ricorso in Cassazione, presentato lamentando la violazione del diritto di assistere al dibattimento, “non essendo stato tempestivamente tradotto per il giudizio”.
La seconda sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Piercamillo Davigo, ha annullato senza rinvio il verdetto di colpevolezza con cui all’imputato erano stati inflitti un anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione, assieme a 1533 euro di multa. I giudici di Cassazione, nella sentenza pubblicata lo scorso 20 giugno (l'udienza si era tenuta il 14 febbraio di quest'anno), richiamano il principio di giurisprudenza per cui “la mancata traduzione all’udienza camerale di appello, perché non disposta o non eseguita, dell’imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto” determina “la nullità assoluta” del giudizio “e della relativa sentenza”.
La fondatezza delle ragioni del ricorrente ha quindi condotto la Suprema corte, nel sentenziare, a valutare eventuali cause di non punibilità, concludendo che sui reati contestati fosse intervenuta la prescrizione, prevalente, nell'estinzione della condanna, “sulla declaratoria di nullità assoluta ed insanabile per la violazione del diritto di difesa”.