Tre motivi per cui boicottare i compiti estivi è un gesto “socialmente irragionevole”

Licia Coppo nella sua rubrica "Basta un po' di educazione" interviene nel dibattito che si è sviluppato a partire dalla lettera del papà di Mattia, Marino Peiretti, che non ha fatto svolgere i compiti estivi a suo figlio.
Compiti a casa
Basta un po’ di educazione, Società

Ancora con la questione della lettera del papà di Mattia? "Sono due settimane che invade i social, e anche tu Licia oggi vuoi parlarne?", direte voi. Un po’ sì e un po’ no; o meglio vorrei provare a guardare la questione in una prospettiva a 360°, e non in una prospettiva fatta di schieramenti pro-Marino (il papà di Mattia) e contro-Marino.

Per chi ancora fosse all’oscuro della questione, la sera dell’11 settembre Marino Peiretti postava sul suo profilo Facebook una lettera con la quale il figlio sarebbe andato il giorno dopo a scuola: nella missiva, il padre dichiarava che, per scelta, non ha fatto svolgere i compiti al figlio tredicenne, dedicando l’estate a cose più utili fatte insieme, come gite, campeggio, attività di gestione della casa, montare la nuova scrivania, aiutare il figlio a coltivare la sua passione per l’elettronica. Chiudeva sottolineando come ormai molti docenti, psicologi e avvocati (avvocati?) dichiarino inutili i compiti estivi, se non dannosi.

E chi può obiettare che il tempo dedicato dal padre al figlio non sia ‘cosa buona e giusta’? Anzi, a quei genitori lavoratori full-time, che hanno fatto incastri tutta l’estate correndo tra nonni, tate, centri estivi, turni, con serate condite da discussioni eterne intorno alla domanda “hai fatto un po’ di compiti oggi?” rode pure un po' il fegato (perché Marino ammette, in un commento al suo post, di averlo potuto fare perché ora è in cassa integrazione; quindi cari genitori lavoratori, più fortunati di Marino perché voi avete il posto sicuro, toglietevi i sensi di colpa. Voi, il tempo, non lo avevate!).

Il papà di Mattia, con quel post, sa di buttare benzina sul fuoco. E le 2900 condivisioni che ha avuto il post, spopolando nel web, lo dimostrano. I genitori, stanchi di corse e discussioni estive, aggravate anche dalla questione compiti, hanno cavalcato l’onda emotiva. Ora, a bocce ferme, possiamo chiederci se il gesto del papà di Mattia, in particolare postando la foto della lettera in quell'"amplificatore di fatti” che è Facebook, sia stato opportuno? A mio avviso NO. Per tre ragioni:

1) La questione compiti qui è secondaria, anche se pare il tema principale. Qui sono in gioco le regole. Perché nella nostra scuola italiana, svolgere i compiti assegnati, sia durante l’anno che in estate, è una regola. Che ci piaccia o no, che la condividiamo o no, tale è. In quella lettera, c’è dietro un messaggio latente: “se le regole che ti danno non ti piacciono, o pensi che siano sbagliate, sei autorizzato a trasgredirle”. Certo, nella vita, le regole si devono provare a cambiare, quando sono insensate o assurde; ma non è ‘non rispettandole’ che si attivano possibili trasformazioni. Anche io, personalmente, credo che in molte scuole diano troppi compiti, o sterili esercizi ripetitivi, quando basterebbe far leggere di più in estate, o far elaborare ai ragazzi dei progetti di ricerca intorno alle loro passioni. Certo, la scuola potrebbe avere più creatività, aggiornarsi, usare meglio anche le nuove tecnologie per interessare i ragazzi, anziché rifilare le solite 70 espressioni di matematica in estate! E quindi? Visto che penso questo, boicotto i compiti? Ma neanche per sogno! Piuttosto mi prodigo per portare il mio pensiero, il mio punto di vista, ai docenti. Magari come gruppo/comitato genitori, come rappresentante di classe. Se io sto dentro questo Sistema scolastico, con queste regole, le faccio rispettare a mio figlio. Senno, vado a vivere in Francia dove i compiti in estate non li assegnano (ma loro sono fermi due mesi in estate, anziché tre; e i modelli di insegnamento sono un po' differenti dai nostri; col nostro sistema scolastico, tre mesi senza aprire un libro sarebbero un po’ deleteri!).

2) In secondo luogo quella lettera, con quei toni apparentemente gentili, usa il linguaggio della contrapposizione; “voi avete nove mesi per insegnarli nozioni e cultura, io ho tre mesi per insegnarli a vivere”, scrive Marino. A parte il fatto che io insegno a vivere ai miei figli tutto l’anno, anzi ancor di più durante l’anno scolastico, quando devono imparare ad organizzarsi i compiti nella settimana, prepararsi veloci al mattino per non perdere il pullman, andare a fare sport anche se sono stanchi o hanno molto da studiare, aiutarmi a sparecchiare la sera quando stramazzo dopo una giornata di lavoro; ma, davvero quel linguaggio noi/voi fa bene oggigiorno al nostro mondo adulto? Non sarebbe più opportuno ritrovare il linguaggio del NOI, soprattutto se si parla del rapporto scuola-famiglia? Personalmente, a me pare che il papà di Mattia metta un educato muro in quel rapporto; anzi, pare che il papà abbia creato quell’alleanza con il figlio contro il Sistema Scuola, che non ha ancora capito che i compiti fanno male. La relazione educativa è, e deve restare, asimmetrica. Le alleanze dobbiamo imparare a ricostruirle tra adulti. Per il bene dei bambini e dei ragazzi.

3) Infine, la ragione che rende tutta la questione alquanto inopportuna, è la pubblicazione su Facebook. Se proprio voleva, Marino poteva fare comunque la sua scelta, magari concordata con i docenti. Meglio ancora poteva sensibilizzare gli altri genitori della classe, o della stessa scuola, per non fare un’azione autoreferenziale. Poteva addirittura lasciare che il figlio valutasse da sé cosa fare, assumendosi la responsabilità di un eventuale compito non svolto, come accadeva ‘sanamente’ ai nostri tempi. Invece, Marino sembra sfidare la scuola con quel post, strizzando l’occhiolino al figlio. E lo fa sul social network con più iscritti al mondo!

Forse Marino non pensava di scatenare tale putiferio; sono certa che abbia scritto quella lettera con le migliori intenzioni, che sia un buon padre che dedica tempo al figlio. E questo è più che meritevole; forse è un po' carente sul piano normativo, il che potrebbe essere un bel problema negli anni a venire. E, soprattutto, diciamocelo, si è fatto fregare anche lui da quel velo di narcisismo che c’è in ogni possessore di un profilo facebook. O forse, semplicemente, non ha ascoltato abbastanza il tormentone estivo di Fedez e J-Ax, “Vorrei, ma non posto”.

0 risposte

  1. sono d’accordo con Graziella e Licia. Il papà avrebbe potuto esprimere la propria opinione agli insegnanti, ma dopo aver fatto svolgere al figlio il proprio dovere. DOVERE è forse la parola che più si è persa nella scuola e nella società attuale, se non lo insegniamo ai nostri figli che esempio diamo loro?Quali regole trasmetteranmno a loro volta quando saranno adulti? E che società avremo?.

  2. Condivido totalmente l’analisi di Licia e, da insegnante in pensione che si è impegnata in tal senso, sottolineo il suo invito ai docenti ad essere più creativi. Le vacanze dovrebbero essere tempo di letture appassionanti e di approfondimento degli interessi risvegliati durante l’anno scolastico da una scuola attiva e stimolante…

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