Processo “Blu Belga”, la Corte d’Appello annulla due condanne

All’udienza di ieri, mercoledì 30 marzo, a Torino, assoluzione per Guido Chaussod di Quart (per “non aver commesso il fatto”) e per Paolo Consol di Issime (“perché il fatto non sussiste"). In primo grado, chiusosi nel 2018, erano stati entrambi ritenuti colpevoli.
Palazzo di giustizia di Torino
Cronaca

Si chiude con l’assoluzione dei due ricorrenti, rovesciando così la sentenza del Tribunale di Aosta, il processo d’appello seguito all’inchiesta del Corpo Forestale della Valle d’Aosta denominata “Blu Belga”, relativa in primis alla presunta “valdostanizzazione” di bovini piemontesi attraverso la sostituzione di marche auricolari e microchip prelevati da bestiame autoctono. Parliamo del ramo processuale con dibattimento ordinario, chiusosi al Tribunale di Aosta esattamente quattro anni fa, il 26 marzo 2018.

La quarta sezione penale della Corte d’Appello di Torino ha assolto nell’udienza di ieri, mercoledì 30 marzo, “per non aver commesso il fatto” Guido Chaussod (68 anni, Quart), assistito dall’avvocato Giovanni Borney del foro di Aosta, e “perché il fatto non sussiste” Paolo Consol (67, Issime), difeso dai legali Enrico Visciano e Alfredo Partexano di Milano.

La sentenza di primo grado

Entrambi, nel giudizio di primo grado, si erano visti infliggere condanne (a due anni di reclusione Chaussod e ad un anno e otto mesi Consol). Già da parte del giudice monocratico Marco Tornatore erano stati ritenuti estranei a parte degli episodi loro contestati dalla Procura, con assoluzioni, sia perché “il fatto non sussiste”, sia per “non aver commesso il fatto”. L’impugnazione di quella sentenza in Appello era scattata sia da parte della Procura generale, sia dagli stessi imputati.

Assieme a loro, a processo con rito ordinario era andato Cassiano Treboud, di La Salle, cui era stata inflitta un’ammenda da 5mila euro, ma nel novembre 2019 è deceduto e il procedimento per lui si è conseguentemente interrotto.

Assoluzione, in primo grado era, invece, stata pronunciata per Marco Cerise, 39 anni di Sarre, “per non aver commesso il fatto” (l’imputato era difeso dall’avvocato Maria Luisa Bravo di Ivrea), e per Piergiorgio Colleoni, 49 di Nus, “perché il fatto non costituisce reato” (difensore, l’avvocato Viviane Bellot).

Le accuse

L’inchiesta aveva preso il via da alcuni controlli effettuati a Nus. Gli inquirenti, in particolare nella primavera 2015, avevano approfondito le modalità con cui alcuni bovini piemontesi (appartenenti alla razza da cui ha tratto il nome l’attività investigativa) venivano macellati, per essere poi messi in commercio come carne valdostana. Oltre ad individuare episodi di sostituzione di auricolari e micro-chip, erano emersi anche casi di animali maltrattati e uccisi, di smaltimenti illeciti di carcasse e di forme di formaggio “insudiciate” e invase da parassiti.

Contestazioni che, in termini giuridici, si erano tradotte nelle accuse – mosse a vario titolo – di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale e dal privato, di soppressione, distruzione ed occultamento di atti veri, di violazione di sigilli, di gestione di rifiuti non autorizzata, nonché di violazione della disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.

Il movente della “re-immatricolazione”

Nella requisitoria del processo aostano, il pm Ceccanti si era soffermato sul senso della marca apposta sull’orecchio delle bovine, definendola un “sigillo, un marchio”, che “non si può ritenere che non abbia un significato pubblico”. Si era quindi interrogato, a voce alta, sul perché di manovre, come quelle di “re-immatricolazione”, in grado di originare per i loro responsabili un risparmio tutto sommato modesto. La risposta è che “alla base di tutto questo c’è un dato: quello dei costi eccessivi di smaltimento delle carcasse” in Valle d’Aosta. E ci sono anche “tasse e balzelli eccessivi sugli allevatori”. Da tutto ciò, il “senso del movente dei fatti oggetto di contestazione”.

Il rappresentante della pubblica accusa era quindi passato alle richieste di condanna, avanzate nella misura di 2 anni e due mesi di carcere per Chaussod, 2 anni per Consol, 6 mesi di arresto per Cerise e Treboud, nonché 6 mesi di reclusione per Colleoni.

Le difese

Quasi tutti i difensori avevano puntato a scardinare le risultanze delle indagini del Corpo Forestale della Valle d’Aosta, sostenendo che dal capo d’imputazione, alla luce anche della deposizione in aula di uno degli ispettori occupatosi dell’inchiesta, non derivasse in modo inconfutabile la prova dei reati.

Di assenza di collegamento “tra quanto contestato al mio cliente (essere andato con un altro allevatore a prendere degli animali in un’altra stalla) e la condotta che integra il reato (aver partecipato all’apposizione delle marche)” aveva parlato l’avvocato Borney, difendendo Guido Chaussod. Secondo uno dei legali che assisteva Paolo Consol, “nessuna intercettazione è stata effettuata a suo carico. Nessun formaggio è riconducibile a lui. Il solo elemento d’accusa è la frase ‘ho sbagliato’, pronunciata quando si è visto i forestali arrivare nell’azienda ed era disperato. Di cosa stiamo parlando?”.

Sull’insussistenza delle accuse a carico di Colleoni, rappresentate dalla falsificazione di un modello per il trasporto di animali, si era spesa l’avvocata Bellot, spiegando che dalle deposizioni in aula era emerso come le risultanze principali del modulo (identità del trasportatore e luoghi di partenza e destinazione) fossero corrette. “Per quanto riguarda la data, – ha detto il legale – ho prodotto locandina della fiera di cavalli ad Asti” cui risultava essere legato il trasporto. “Non capisco sulla base di cosa si dica che la data è un’altra, ma anche se fosse, sarebbe un illecito non penale” aveva concluso il legale, chiedendo l’assoluzione del suo assistito.

Estremamente conciso l’avvocato Carlo Laganà, difensore di Treboud: “si ritiene che l’accusa sia giunta ad una conclusione di responsabilità per aver rinvenuto carcasse in una concimaia attigua alla stalla” dell’imputato. “Questo accertamento non depone, oltre ogni ragionevole dubbio, – aveva affermato il legale – a carico di Treboud”, contando anche che è stato confermato in aula “che la concimaia era regolare” dal punto di vista delle autorizzazioni.

Infine, sulla non titolarità dell’azienda zootecnica da parte di Marco Cerise (formalmente intestata alla sua convivente) era stata puntata l’arringa dell’avvocato Maria Luisa Bravo. “Uno dei forestali operanti ha detto che il mio cliente era titolare di fatto, – ha spiegato – motivando tale affermazione con l’averlo visto uscire dall’azienda con dei bidoni di latte, durante un servizio di osservazione. Non lo si può considerare tale. Eventualmente, gli si può contestare una sanzione amministrativa”.

L’udienza preliminare nel 2016

L’inchiesta “Blu Belga” aveva scosso non poco il mondo dell’allevamento, vuoi per la gravità delle accuse (la presunta sostituzione della marca interrompe, di fatto, la tracciabilità della filiera della carne, con rischi per la salute pubblica), vuoi per l’elevato numero di indagati prima e imputati poi. All’udienza preliminare del novembre 2016 erano state definite le posizioni degli imputati che avevano optato per riti alternativi, facendo uscire processualmente di scena 10 persone.

In particolare, era stato condannato a un anno e quattro mesi (pena sospesa) Paolo Moussanet, 59 anni, di Challand-Saint-Victor. L’assoluzione era invece stata pronunciata per Camillo Pecco, 60 anni, di Gressoney-Saint-Jean e Andrea Piatti, 58 anni, veterinario dell’Unità Sanitaria Locale della Valle d’Aosta. Tutti e tre avevano scelto il giudizio con rito abbreviato.

Erano quindi stati accolti i patteggiamenti chiesti da: Gabriele Empereur, 75 anni, di Gressan (otto mesi di reclusione e 800 euro di multa); Ezio Chabloz, 58 anni di Sarre (sei mesi di reclusione e 200 euro di multa); Albein Bagnod, 46 anni, di Challand-Saint-Victor (otto mesi di reclusione); Franca Marcoz, 61 anni, di Brissogne (sei mesi di reclusione)

La “messa alla prova” era stata infine chiesta da: Mathieu Chabod, 25 anni, di La Salle; Alfredo Girod, 37 anni, di Fontainemore; Leo Montrosset, 50 anni, di Jovençan. Per tutti e tre, tale “misura alternativa” risulta aver avuto esito positivo, con l’estinzione dei reati contestati.

La prima udienza con rito ordinario si era tenuta il 17 ottobre 2017. In quell’occasione era stato disposto un incarico per la trascrizione e la traduzione di alcune telefonate in patois intercettate dagli inquirenti. Dopo un nuovo rinvio, a metà dicembre, si era arrivati all’udienza del marzo 2018, con la discussione e la sentenza ora riformata dalla Corte d’Appello di Torino.

 

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