Lo zampino di Gabriele Thiebat nell’oro olimpico di Michela Moioli

Il chirurgo valdostano dell’Istituto Ortopedico Galeazzi da 7 anni è nella nazionale italiana di snowboard e sci freestyle, oltre a lavorare con le giovanili del Milan: “4 anni fa portavo via Miky in ambulanza, ora è sul tetto del mondo”
Gabriele Thiebat (a destra) con Michela Moioli e Claudio Consagra
Sport

Nella tappa di Cervinia della Coppa del Mondo di snowboardcross si era esaltato per la straordinaria doppietta azzurra di Michela Moioli ed Omar Visintin. A PyeongChang Gabriele Thiebat ha conquistato, in un certo senso, la medaglia d’oro olimpica proprio insieme alla ventiduenne bergamasca e, dopo le tre lunghe settimane coreane, può tornare in Italia con la sua bella dose di soddisfazioni.

Thiebat, classe 1979, è medico chirurgo specialista in ortopedia e fa parte del Centro di Traumatologia dello Sport e chirurgia artroscopica diretto dal Dott Schonhuber all’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che ogni anno esegue, solo ai legamenti crociati, in media 500 operazioni. Un’appartenenza, quella alla squadra del Dottor Schonhuber, che ha portato il valdostano a lavorare con tante società sportive di primissimo livello e a far parte della nazionale italiana di snowboard e sci freestyle con la FISI: “Come team collaboriamo con il Milan ed il Sassuolo di calcio, dopo essere stati con la nazionale azzurra di rugby. Il nostro medagliere olimpico, parlando di atleti che abbiamo operato, è decisamente invidiabile: Moioli, Goggia, Brignone, Pellegrino…”, racconta Thiebat. Ex capitano delle giovanili dell’Aosta di calcio a 5, da 4 anni collabora con l’A.C. Milan di calcio (nonostante la fede Granata), di cui da quest’anno è responsabile dell’area infortuni nelle giovanili dalla Primavera in giù, cosa che gli è valsa la presenza nel mitico videogioco gestionale Football Manager: “Ho visto giocare Cutrone e Locatelli a 14 anni, si capiva già che sarebbero stati giocatori da serie A”.

La prima trasferta con la FISI risale al 2006, con alcune gare di Coppa Europa di sci; nel 2011 si libera un posto nello snowboard, e il valdostano (che è anche membro della commissione medica della Federazione) ne diventa il responsabile con un primo obiettivo: le Olimpiadi di Sochi. L’esperienza russa è segnata in gran parte dall’infortunio al ginocchio proprio di Michela Moioli: “Quattro anni fa la portavo via in ambulanza, in lacrime mi chiedeva se il ginocchio fosse rotto ed io cercavo di dissimulare. Già all’epoca – aveva appena 19 anni – era una bambina prodigio ed era tra le favorite”. Da lì è partita la riscossa e la crescita della lombarda, grazie anche  all’amicizia con la compaesana Sofia Goggia con cui condivide il preparatore atletico. “A PyeongChang ho visto un’altra Michela: nel 2014 era molto tesa, mentre in queste Olimpiadi era più rilassata e scherzava molto di più. Quando ha vinto l’oro, sua mamma è venuta in lacrime da me a dirmi: ‘Gabri, pensa a dove eravamo quattro anni fa, e guarda oggi. Grazie mille!’. Avevo il groppone, non pensavo di potermi emozionare tanto per un risultato sportivo”. È innegabile che, per il medico valdostano, in questa medaglia ci sia anche un particolare coinvolgimento personale, avendo praticamente visto crescere Moioli all’interno della squadra nazionale ed avendole ricostruito il ginocchio insieme al primario Schonhuber.

Alla campionessa olimpica è legato uno degli episodi in terra coreana che Thiebat ricorderà di più: “Un anno fa, Michela aveva trovato un anello nel giardino di casa. Se l’è tenuto, promettendo di lasciarlo al traguardo nel caso avesse vinto le Olimpiadi. Dopo la gara è stata impegnata in interviste e mille altre cose ma, pur allo stremo delle forze, alle tre di notte siamo andati io, lei ed il suo fisioterapista al traguardo. Ha scavato un buco nella neve, e lì ha lasciato l’anello”.

Nel racconto di Thiebat c’è anche un parallelo tra le due Olimpiadi, e l’esperienza di PyeongChang risulta molto diversa rispetto a Sochi, e non solo dal punto di vista dei risultati sportivi. “Ho potuto guardare solo la cerimonia di chiusura e la finale dell’hockey, perché noi alloggiavamo lontani dal villaggio olimpico. È stata una scelta azzeccata, perché ha permesso agli atleti di rimanere concentrati sulle gare e di non dover sprecare un’ora negli spostamenti. Diciamo che per noi è stata come una gigantesca tappa di Coppa del Mondo”.

Il bilancio di Thiebat non può che essere positivo: “È stata un’esperienza molto lunga perché io, seguendo snowboard e freestyle, avevo in pratica le squadre che si davano il cambio, quindi ho passato in Corea tre settimane intere e poi al ritorno, senza neanche aver smaltito il fuso orario, ho ricominciato subito a lavorare. Però siamo tornati a casa senza infortuni e con una medaglia d’oro: meglio di così non poteva andare”.

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