Il bambino che conquistò tutti i rifugi valdostani è arrivato oggi in cima al Monte Bianco

Il 14 agosto Lorenzo Lucentini, 16 anni, è salito assieme al padre sul Monte Bianco. Una nuova impresa per il giovane ligure che nel 2012, a soli 11 anni, era riuscito a scalare tutti e 56 i rifugi valdostani.
Lorenzo Lucentini in vetta al Monte Bianco
Società

A sedici anni in vetta al Monte Bianco. La nuova impresa di Lorenzo Lucentini, il giovane ligure balzato agli onori della cronaca nel 2012, quando a soli 11 anni poté vantarsi di essere il primo bambino ad aver scalato tutti i 56 rifugi valdostani, non entrerà nel Guinness' book of records, il catalogo dei primati. Il tetto d’Europa può contare fra i suoi conquistatori alpinisti ben più giovani come Valérie Schwartz, la bambina svizzera di 7 anni, che raggiunse insieme ai genitori la vetta nel 1991.

L’impresa di Lorenzo è comunque eccezionale perché testimonia una grande passione per la montagna che di anno in anno lo porta a prefiggersi e raggiungere con tenacia e grandi sacrifici  – almeno per un adolescente – mete sempre più impegnative.

Nel suo carnet il 16enne oltre ai 56 rifugi valdostani può contare già dieci quattromila. L’ultimo in ordine di tempo è proprio il Monte Bianco, raggiunto lo scorso 14 agosto assieme al padre e a una guida di Cogne.  

“Il Monte Bianco, con i suoi 4810 m, era diventato un sogno da realizzare, una conquista che avrebbe gratificato le mie vacanze estive del 2017” racconta Lorenzo che frequenta il terzo anno del Liceo scientifico e che ogni anno trascorre oltre un mese a Cogne. Un progetto pianificato da tempo con il padre, che già due volte aveva tentato l’impresa senza riuscirvi, ma di cui la mamma è tenuta all’oscuro. “Lo scopre direttamente una sera in cui, invitato a cena Alberto, il nostro amico e guida di Cogne che ci ha accompagnato in altre conquiste, programmiamo un intenso allenamento in vista della meta finale, il Bianco, e un po’ per la sorpresa, un po’ perché è in minoranza, non ha la forza né gli strumenti per opporsi”. Guidati dai consigli dell’amico e guida di Cogne padre e figlio iniziano l’acclimatamento dormendo in quota diverse volte e scalando altri quattromila.

“Ho investito un mese delle mie vacanze per questa conquista  – ricorda il giovane –  ho fatto levatacce al mattino e lunghe escursioni per essere all’altezza dell’ambiziosa meta, ho sacrificato la compagnia degli amici perché non volevo che la mancanza di impegno potesse pregiudicare la realizzazione di questo mio sogno che condividevo fortemente con papà”.

Il 13 agosto inizia l’avventura con l’approdo a Chamonix e la salita lungo la via normale francese. Le condizioni non sono le migliori. “Persino Alberto, ben abituato a condizioni estreme per il suo lavoro, si lamenta del freddo. Nel percorso sento la fatica, il freddo, il vento e la stanchezza ma non mi voglio fermare” racconta Lorenzo. “Ma procedo lo stesso: ho nelle orecchie la frase di Alberto della sera prima che aveva detto che alle 7,30 saremmo tornati indietro, ovunque fossimo stati. Così la mia voglia di riuscire mi spinge a persistere e a proseguire, nonostante tutte le difficoltà fisiche e mentali che sto soffrendo”.

Alle  sette meno un quarto la cordata composta dalla guida alpina di Cogne, da Lorenzo e dal padre arriva finalmente sulla vetta del Monte Bianco.

“Agito ripetutamente all’indietro le braccia piegate a novanta gradi con i pugni chiusi in segno di vittoria, come fanno i tennisti quando vincono un torneo. Nonostante la pelle ghiacciata, soprattutto il naso, la mia faccia diventa una successione di smorfie per la riuscita. Poi mi commuovo, mi metto a piangere e abbraccio forte mio papà: “Meno male che non eri mai riuscito a venire prima, così l’abbiamo fatto insieme!.”

Il decimo quattromila, "il più sofferto, il più difficile e faticoso, quasi una tortura cinese", diventa per Lorenzo una conquista di se stessi. "Penserò al Monte Bianco quando avrò bisogno di ritrovare fiducia in me stesso e anche stima: infilerò la mano in tasca e ci troverò una vetta alta 4810 m, la più alta d’Europa, su cui io sono salito con il mio papà, in un’avventura che non ho visto al cinema ma che ho vissuto in prima persona, sulla mia pelle, e che mi ha insegnato tanto: l’importanza della forte motivazione, della resistenza, della resilienza per perseguire i propri obiettivi, ma anche a lasciar andare le mie emozioni”.

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