“Ha prostituito la professione medica”: le motivazioni della condanna allo psichiatra Bonetti

In quarantasei pagine, le ragioni per cui allo psichiatra aostano sono stati inflitti, dal giudice Eugenio Gramola, 10 anni ed 8 mesi di reclusione. L'udienza conclusiva del processo si era tenuta lo scorso 12 aprile.
Dottor Marco Bonetti
Cronaca

Quando riceveva soldi non dovuti per le visite svolte in regime pubblico, tentava di avvicinare sessualmente le pazienti psichiatriche, rilasciava certificati falsi dietro versamento di soldi o prescriveva sostanze stupefacenti senza controllo, lo psichiatra Massimo Bonetti era consapevole di fare “tutto ciò che un medico non deve – in nessun caso – fare”. E' lo scenario che il giudice Eugenio Gramola, presidente del Tribunale di Aosta, tratteggia senza esitazioni nelle quarantasei pagine di motivazioni della sentenza con cui, al termine dell'udienza dello scorso 12 aprile, ha condannato l'ex “numero 2” del reparto di psichiatria di Aosta a 10 anni e 8 mesi di reclusione per violenza sessuale, cessione di stupefacenti, truffa, peculato e falso.

Per il magistrato, il professionista 64enne, arrestato dalla Guardia di finanza nel marzo 2017, “ha prostituito la professione medica alle più basse finalità proprie”, tanto che è difficile “formulare un giudizio che non sia pessimo” sulla sua personalità, considerando poi che “le condotte per le quali vi è condanna si sono protratte per anni e costituivano – in sostanza – il normale modo di esercitare” il mestiere da parte di Bonetti. A muovere lo psichiatra erano, secondo l'estensore della sentenza, da un canto, l'intento di “procurarsi rilevanti somme di denaro”, e, dall'altro, “approfittare della propria posizione per procurarsi piacere”.

Le banconote durante le visite

A tale giudizio complessivo il giudice giunge esaminando le singole contestazioni. Gli episodi alla base delle accuse di truffa e corruzione (legate al ricevere indebitamente denaro dai pazienti per prestazioni, in realtà, in regime pubblico) sono stati filmati dalla Guardia di finanza, installando una telecamera nascosta, negli ambulatori dell'Usl ove Bonetti ha operato fino al pensionamento, nel febbraio 2017. “Le dazioni di denaro così visivamente accertate sono intervenute nel corso di due mesi – si legge – a riprova del fatto che si trattava di un modus operandi” assolutamente “costante ed abituale”.

Anzi, dall'esame delle intercettazioni ambientali, “è agevole rilevare come in alcuni casi il Bonetti ha addirittura richiesto espressamente le somme non dovute”. Una visione rispecchiata dalle dichiarazioni di un altro medico del reparto di psichiatria: “da sempre il dottor Bonetti ha una fama di persona poco corretta con i pazienti e i familiari, rispetto al fatto che è di dominio pubblico che accetti del denaro nell'attività della sua funzione. Corre la battuta che esibisca i soldi così percepiti nella tasca anteriore della camicia. Ho avuto in più occasioni la sensazione che questa situazione sia realistica”.

Al riguardo, interrogato nell'aprile 2017, Bonetti ha dichiarato che “nella stragrande maggioranza dei casi erano i pazienti ad offrirgli il denaro, per gratitudine”, tanto più che di solito “non si erano prenotati” e quindi “si presentavano spontaneamente e direttamente”, senza “che avessero pagato il ticket” e senza che il medico “eccepisse alcunché”. Il giudice Gramola conclude tuttavia che “i pazienti, anziché pagare quanto dovuto per la visita all'Usl (ticket) lo pagavano (in maggior misura) al Bonetti stesso, che si intascava la somma” (di solito 50 euro, ndr.).

La contabilità degli “extra”

La sentenza si occupa anche degli 83.665 euro annotati in alcune agende rinvenute durante le perquisizioni condotte a carico dello psichiatra. Quella cifra, accumulata tra il 2011 e il 2016, rappresentava per l'accusa, sostenuta al processo dal pm Luca Ceccanti, il complesso delle “entrate extra” del medico, richieste od ottenute durante le visite. Sentito in merito, il diretto interessato ha ammesso che l'acquisizione di denaro dai propri pazienti è “una modalità di azione durata per anni… credo una decina d'anni”.

Ha anche aggiunto che le registrazioni sulle agende “non si riferiscono solo a questo tipo di pagamento… sono soldi di mia mamma per mia figlia e le mie nipoti”. Considerazioni che il giudice Gramola addita come “totalmente inverosimili”, giacché non si capisce perché “regalie di famiglia” debbano finire annotate insieme a “entrate provenienti dai denari versati dai pazienti” o a quelle “provento di contratti di locazione” (alcuni appunti riguardavano l'affitto di un box).

Da ciò, il doversi ritenere che “ove non risulti un titolo diverso” (come le locazioni), “le somme risultanti dalle agende in sequestro” derivino “dalle dazioni di denaro, non dovute, eseguite dai pazienti del Bonetti in pagamento delle prestazioni ambulatoriali”.

Le violenze sessuali

La prova principale della Prouira era, anche in questo caso, nelle immagini girate dai finanzieri con la telecamera celata nei locali dove il medico operava, ma la sentenza osserva “che le riprese valgono a conferma dell'esistenza del contatto fisico tra il Bonetti e la paziente” e che il reato va però considerato integrato solo per gli episodi (in tutto quattro) sostenuti da “specifiche, precise ed attendibili dichiarazioni” delle persone offese.

Per questo, “in mancanza di prova in ordine al dissenso delle donne rispetto agli atti a connotazione sessuale compiuti dal medico, o all'incapacità di autodeterminarsi delle medesime, affette da problematiche di carattere psichico”, il giudice ha scagionato Bonetti da alcuni degli episodi contestati, aspetto sul quale nell'imminenza della sentenza i difensori del medico, gli avvocati Jacques Fosson e Massimo Balì, avevano espresso soddisfazione, annunciando peraltro ricorso in appello al verdetto di primo grado.

La sentenza svela tuttavia le dichiarazioni del medico nel suo interrogatorio, in cui ha riconosciuto “di aver dato qualche toccata, 'ma solo amichevolmente”. Peraltro, “sovente non sono stato io a cominciare. Anzi, ho dovuto difendermi 'fisicamente”, perché le pazienti “non erano poi così malate” e “avevano in testa solo quello”. Alla domanda su come potesse essere arrivato a tentare di baciare sulle labbra una donna con elevata invalidità, Bonetti, “ammettendo il fatto, ha informato gli inquirenti che 'non ci si rende conto delle cose che a volte bisogna fare per tenere calma la paziente'”.

Lo psichiatra ha detto di aver concesso, a volte, atti sessuali perché “ho paura da una vita di essere accusato. L'uomo che si rifiuta si mette in una situazione pericolosa: la donna lo accusa poi di cose non vere”. Per questo, si legge ancora, “il Bonetti preferiva 'lasciare una mancia' e quindi concedere 'una carezza, una toccatina, un bacio pur di stare tranquillo”. Un insieme di dichiarazioni su cui al giudice “non pare necessario spendere parole” per evidenziarne la “totale inverosimiglianza”.

Le consegne di farmaci

L'accusa di peculato mossa allo psichiatra conseguiva all'aver fornito ad una paziente farmaci “che erano custoditi in un armadietto ed erano proprietà dell'Usl”. Il medico si è “giustificato, affermando di aver fatto dei favori” a una persona in difficoltà, “ciò che sarebbe assolutamente consentito”. In realtà, prosegue la sentenza, “ciò non è” e Bonetti “era consapevole di quanto andava a commettere”.

La sentenza riporta le intercettazioni in cui si sente il medico affermare “che prendeva 'della roba quando ci sono degli infermieri più consenzienti che non gliene frega niente', evitando invece di sottrarre farmaci quando c'erano 'degli stronzi' che poi vanno a dirlo alla caposala”. E' poi stato registrato mentre diceva alla paziente “è un furto, questo tu lo sai benissimo”, visto che “è sempre una cosa che è di proprietà di un ospedale”.

I medicinali sono stati trovati dagli inquirenti nell'ambulatorio privato del medico, dopo che era andato in pensione. Muniti della dicitura “esclusivo uso ospedaliero”, per l'estensore della sentenza “non possono che essere stati sottratti all'Usl”, costituitasi parte civile nel processo, tramite l'avvocato Corrado Bellora, per questo ed altri episodi in cui l'azienda era danneggiata, ricevendo una provvisionale di 20mila euro. “Irrilevante” è, inoltre, il costo dei farmaci (la contestazione non superava di molto i 200 euro), così come la circostanza “che alcuni di questi potessero essere scaduti o in scadenza, non conoscendosi il momento dell'appropriazione, comunque avvenuta”.

Le corruzioni per i certificati “addomesticati”

La colpevolezza stabilita dal giudice per quest'accusa, data dall'aver certificato diagnosi inesistenti dietro al pagamento di denaro, poggia sulle dichiarazioni “ampiamente confessorie” rese da Bonetti al pm. Riguardo ad un caso, ha detto: “Ammetto la falsità del certificato ed ammetto di aver ottenuto del denaro per quella certificazione falsa. In quanti fanno queste cose?”. Su un altro ha riconosciuto che il paziente “non aveva nessuna patologia e che ho inventato la diagnosi di depressione”.

Al termine di un “consulto”, in cui aveva certificato un periodo protratto di malattia, lo psichiatra raccomanda al paziente che gli ha appena passato la banconota di “non farsi mai vedere contento come adesso, ma sempre con una spanna di muso”. Ad una donna, che “temeva di subire un mutamento nella propria attività lavorativa” pubblica, esclama “dovrò dire che lei ha un disturbo, qualche cosa dovrò inventarmi”, ricevendo in tutta risposta: “metta quello che vuole, io non la denuncio”, seguito da una risata.

Infine, ad un altro paziente deciso a provare l'uscita dall'amministrazione di cui era dipendente, Bonetti concede un “E va beh, tentiamo anche con lei” e, dopo aver verificato l'assenza di appigli a condizioni fisiche, conclude: “certamente metterò la diagnosi di depressione”. Arriva perfino a suggerire le cause, prima di fare altre domande: “tutta la situazione attuale, stress, ansia eccessiva, stress nella vita privata…”. Il paziente non fa che dire: “proviamo anche noi, metta quello che può, dottore”. Insomma, rileva il giudice Gramola, “in cambio di somme di denaro sempre modeste, il Bonetti certificava qualsiasi cosa”.

Nell'ambito di questi episodi, erano stati processati assieme allo psichiatra cinque pazienti: due sono stati assolti perché “il fatto non sussiste”, altri due condannati a due anni di reclusione (pena sospesa), uno ha patteggiato un anno e dieci mesi. Altri due, invece, erano andati a giudizio separatamente, con rito ordinario, finendo condannati a due anni e dieci mesi di reclusione ognuno.

La cessione di stupefacenti

L'accusa era di aver rilasciato abusivamente 143 ricette di due confezioni per volta da cinque fiale di morfina. “E' pacifico – osserva il giudice Gramola – che la prescrizione è avvenuta al di fuori di qualsiasi piano terapeutico e al di fuori delle competenze mediche di Bonetti”. Questi, peraltro, durante un interrogatorio, ha ammesso di aver utilizzato “il proprio ricettario in bianco, quando ormai egli era andato in pensione”. Si è giustificato dicendo che il medico curante della donna “non voleva più farle ricette”, mentre lei “aveva bisogno della morfina”.

“Di assoluta gravità”, per l'estensore della sentenza, che Bonetti abbia “acriticamente prestato fede a quanto dichiaratogli dalla paziente, omettendo di contattare il medico curante”. Dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni della donna, confermate in sede di interrogatorio dallo psichiatra, è emerso che lei “sapeva che prima o poi sarebbero sorti dei problemi, e che erano possibili risvolti giudiziari, come del resto ben consapevole di ciò era Bonetti”.

Nelle conversazioni tra il medico e la donna registrate dagli inquirenti avveniva anche la “condivisione di fantasie erotiche” e “ciò potrebbe spiegare quale fosse la reale motivazione delle attenzioni” dello psichiatra, “che hanno comportato una così grossolana violazione, da parte del medico, dei propri doveri d'ufficio”. Peraltro, alle prescrizioni ottenute si sono sommate quelle di altri dottori e, “nel giro di 1230 giorni la donna ha così fatto uso di 6450 fiale di morfina, di cui 1430” prescritte dal 64enne aostano.

Una “altissima quantità di morfina”, con “oltre cinque fiale al giorno”, che peraltro “in alcuni periodi erano anche parecchie di più”. Per il giudice, in assenza delle prescrizioni di Bonetti, “senza piano terapeutico e senza competenza alcuna” ed avvenute “probabilmente anche per compiacere” la donna, la stessa “non si sarebbe posta nella pericolosa situazione di assumere stupefacente in via costante in elevatissima quantità”. Malgrado Ippocrate e il giuramento che, come ogni medico, anche Bonetti ha prestato.

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