E’ uscito “Le pietre”, il nuovo libro di Claudio Morandini sospeso tra Dino Buzzati e Buster Keaton

Dal 13 aprile è in libreria il nuovo romanzo di Claudio Morandini, "Le pietre". Abbiamo intervistato lo scrittore che sarà ospite di Arnaldo Colasanti al Festival della parola “Les Mots” sabato 29 aprile alle 17.
Claudio Morandini
Cultura, Occhio alla penna

Ho appena terminato di leggere “Le pietre", il nuovo libro di Claudio Morandini, e sono rimasto affascinato da una trama originale, avvincente che invita a proseguire senza interruzioni la lettura. Lettura che risulta piacevole grazie a uno stile raffinato, a una scrittura estremamente curata in cui si apprezza una non comune – e per nulla ostentata – proprietà di linguaggio. La fuga degli abitanti di Sostigno verso le baite di Testagno, incalzati dalla misteriosa, inspiegabile – per certi aspetti inquietante – apparizione di pietre, immerge il lettore in una dimensione che, a seconda delle sensibilità, può evocare le atmosfere di Dino Buzzati o la lirica surreale dei film di Buster Keaton.

Claudio, il tuo precedente lavoro, “Neve, cane, piede”, qualche mese fa, grazie alla straordinaria iniziativa “Modus legendi”, ha conquistato la quinta posizione nella classifica della narrativa italiana, nonché la settima nella classifica generale dei libri più venduti. Naturalmente non si arriva per caso a partecipare a iniziative di tale portata: nel 2016 “Neve, cane, piede” ha vinto il Premio “Procida, isola di Arturo Elsa Morante” sezione narrativa e precedentemente un altro tuo libro, “A gran giornate”, aveva vinto nel 2013 il premio “Città di Trebisacce”. Diversamente da molti autori, hai scelto fin dal tuo esordio letterario di prescindere dalla dimensione locale, proponendo i tuoi scritti al di fuori del territorio regionale, prova ne sono sia la scelta di pubblicare con case editrici di Bari, Bologna, Milano e Roma sia la decisione di ambientare i primi romanzi in realtà volutamente distanti da quella valdostana. Una grande sfida e, certamente, un impegno gravoso.

Ti dirò, mi sento da sempre uno scrittore italiano, non “valdostano”. La Repubblica delle Lettere per fortuna travalica confini regionali e pure nazionali. Secondo me essere nati in un luogo non costringe a confrontarsi a vita con quel luogo; allo stesso modo non mi interessa una narrativa di trentenni per trentenni, di donne per donne, di insegnanti per insegnanti, di ragazzini per ragazzini. So che in molti casi è così, e che vi sono filoni inesausti di questo tipo di narrativa autoreferenziale, generazionale, ombelicale, ma mi pare che questo non dia più senso, al di là di quello commerciale. La mia idea di letteratura è invece basata sul confronto con qualcosa che non mi sta vicino, che è altro da me e dalla mia personale biografia. In questo sta la vera sfida, credo, nel misurarsi con tematiche e figure che attraggono proprio per la distanza – così è già stato per la figura estrema e inconciliabile di Adelmo Farandola, o con il brulichio di personaggi del villaggio di “Le pietre”. Tanto, che tu lo voglia o no, qualcosa di ciò che sei finisce per rimanere appiccicato alle pagine che vai riempiendo. Il romanzo è il luogo ideale per questa indagine, che può diventare vera e propria avventura già per chi scrive. Ho scelto di ambientare altrove i miei primi romanzi proprio per questo bisogno – l’altrove è una fonte continua di sorpresa, che sia ispirato alla realtà o, come nel mio caso, sia parte di un paesaggio immaginario che si va definendo libro dopo libro. Nei primi romanzi le montagne stavano sullo sfondo, ora, negli ultimi due romanzi pubblicati da Exòrma, sono tutt’attorno e dentro alla storia. Ma anche questa, più che un ritorno a casa da figliol prodigo, è l’esplorazione di un altrove che solo in parte assomiglia al panorama che ci è familiare. Le montagne in cui mi aggiro scrivendo – adesso esagero un po’ – sono come il paesaggio di un pianeta sconosciuto. Pare comunque che qualcosa di profondo e nascosto ma vero venga fuori da queste mie perlustrazioni à la Verne.

È stato quasi dieci anni fa che, per la prima volta, ho letto su riviste di settore recensioni di un tuo romanzo. Mi riferisco a “Le larve”, romanzo gotico che fu stampato nel 2008 dalla vivace casa editrice Pendragon e che raccolse molti consensi. Gli ultimi due libri sono stati entrambi pubblicati dalla romana Exòrma, che vanta un catalogo di qualità e che si presenta come “progetto di divulgazione di alto profilo”. Ci vuoi parlare delle tue scelte editoriali?

Chi sceglie chi? Nel mio caso, si è piuttosto scelti, o almeno ci si trova a metà strada. È il vantaggio di godere di buona stampa da un po’ di anni, e di una reputazione, per quanto di nicchia, costruita a livello nazionale libro dopo libro. L’incontro con Exòrma è avvenuto grazie all’agenzia Otago che mi rappresenta, ed è stato subito improntato a una bella sintonia. La loro collana di narrativa, che si chiama provocatoriamente “quisiscrivemale”, ospita appunto testi che coniugano la ricerca stilistica e l’intelligenza della trama, e il loro guardare al di là delle frontiere e dei confini di qualunque genere si è subito accordato con la mia insofferenza alle convenzioni e alle soluzioni di comodo. Anacharsis, l’editore francese che ha pubblicato da poco “Le chien, la neige, un pied” nella splendida traduzione di Laura Brignon, assomiglia a Exòrma come scelte di catalogo e curiosità intellettuale.

Sulla base della tua esperienza, hai un consiglio per chi volesse cimentarsi nella scrittura?

Essere prima di tutto un lettore, e rimanere tale per anni e anni. Non credersi “scrittore” al primo tentativo, e sentirsi invece sempre, con umiltà e ostinazione, alla ricerca di qualcosa – di una voce, della propria, ammesso che ci sia davvero. Porsi consapevolmente all’interno di una tradizione letteraria senza ostentarlo. Continuare a leggere sempre. Sentirsi in una condizione di costante insoddisfazione. Sapersi mettere in discussione, e accogliere le osservazioni altrui. Avere l’ambizione di misurarsi con orizzonti più ampi di quelli rassicuranti e accomodanti della propria cerchia. Leggere ancora e sempre. Non voler mettere tutto l’universo in un solo libro. Non guardare troppi telefilm, non rifarsi alle sceneggiature dei film americani. Porsi prima di tutto il problema della lingua, non concentrarsi solo sul plot. Esercitare il proprio diritto alla sorpresa, allo stupore, e non ragionare per cliché. Accettare i rifiuti, imparare da essi e non rassegnarsi a pubblicare a ogni costo. Raccontare il meno possibile di sé. Uscire di casa e ascoltare, osservare, annusare, toccare. Poi tornare a casa e rimettersi a leggere.

Claudio Morandini sarà ospite di Arnaldo Colasanti al Festival della parola “Les Mots” sabato 29 aprile alle 17; vi invito a recarvi in Piazza Chanoux per ricevere dall’autore stesso maggior dettagli su "Le pietre".

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