Al via il processo ad alcuni arrestati nell’operazione Ilium, sul fiume di coca tra Olanda e Italia

Gli imputati sono quattro albanesi ed un italiano, che per gli inquirenti hanno avuto un ruolo nell’organizzazione in grado di far arrivare in Italia, dai Paesi Bassi, “a distanze di quindici giorni, dai 20 ai 30 chili di sostanza”.
Cronaca

Arrivano dal nord dell’Albania, dalla zona di Scutari. Per questo, la loro inflessione assume forma quasi dialettale, rendendo la lingua molto diversa da quella parlata nel resto del Paese e ancora più difficile da comprendere. “Li chiamano ‘i montanari’” ha raccontato oggi, testimoniando in aula, uno dei sottufficiali del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Aosta occupatosi dell’indagine che, tra l’estate del 2011 e dicembre 2012, ha messo a nudo un giro internazionale di cocaina, in grado di far arrivare in Italia dall’Olanda, “a distanze di quindici giorni, dai 20 ai 30 chili di sostanza”.

Un’attività investigativa, battezzata “Operazione Ilium”, che ha visto le Fiamme gialle recuperare 23 chili di droga in nove diversi sequestri (due dei quali in Valle), oltre a poco meno di trentamila euro, coinvolgendo in tutto diciassette persone. Tra queste, i cinque imputati del processo di cui stamane, al Tribunale del capoluogo regionale, si è aperto il dibattimento. L’inchiesta era infatti partita, come “coda” di una precedente indagine del 2009 (“White Eagle”), quale fascicolo aperto dalla Procura oggi retta da Paolo Fortuna. Poi, quando si è intuito “che qualcosa andasse oltre lo spaccio nella cintura di Aosta”, si è aggiunta la competenza della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, con il pm Stefano Castellani, che oltre a coordinare gli inquirenti (assieme all’allora pm Pasquale Longarini) ha rappresentato l’accusa nell’udienza odierna.

Chiamati a rispondere, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (con l’aggravante del “metodo mafioso” e delle attività criminali compiute in più di uno Stato), nonché di traffico illecito di droga sono gli albanesi Gezim Shoshi (57 anni), Alfred Shabani (43), Lulzim Halili (37) e Valentin Lleshi (31). Alla sbarra anche l’italiano Mauro Alvise Cauzzo, autotrasportatore 66enne, nato a Fossalta di Portogruaro (Venezia), considerato dagli inquirenti colui che materialmente trasportava, a bordo del mezzo guidato per lavoro, la cocaina dai Paesi bassi.

Buona parte dell’udienza odierna è stata dedicata alle deposizioni dei tre finanzieri che hanno seguito le indagini. Hanno spiegato di aver ricostruito, attraverso intercettazioni telefoniche, analisi dei tabulati e servizi di osservazione, pedinamento e controllo, il “modus operandi” della banda. In Olanda venivano fatti arrivare i soldi per l’acquisto, ma chi li consegnava (una volta, secondo gli inquirenti, era stato proprio Gezim Shoshi, fermandosi anche ad Aosta lungo il tragitto, iniziato da La Spezia, dove risiede) non rientrava con lo stupefacente. La cocaina arrivava in un secondo tempo e veniva stoccata, già divisa, con iniziali scritte in pennarello nero sopra ai panetti, in alcune località in Lombardia.

Era quello il momento in cui il “distributore” inviava un sms ai destinatari del carico, sparsi in tutto il centro-nord. “Sto aspettando per andare a giocare a calcio. Fammi sapere se vieni, volevo occupare il campo” – ha riferito uno dei militari – era il testo del messaggio apparentemente innocuo, accompagnato dall’indirizzo ove avrebbe dovuto tenersi la “partita”. Per la verità, nella ricostruzione dei finanzieri, il pallone è stato escluso ben presto. Tra le località di stoccaggio e di consegna degli ingenti quantitativi, individuate Milano, Cormano, Vigevano, Arcisate e Solbiate Arno (Varese). In diversi di questi casi, le Fiamme gialle hanno seguito dalla partenza dalle rispettive zone di provenienza, allo scambio e fino al rientro a casa, alcuni degli intercettati, effettuando diversi arresti e recuperando, raramente, meno di un chilo di “neve”.

Incrociando i dati raccolti (non senza difficoltà, perché alcune utenze telefoniche sono risultate “intestate a soggetti sconosciuti all’anagrafe tributaria”, o a persone di origine cinese) gli inquirenti arrivano al numero di cellulare del presunto “fornitore olandese”. Ad un certo punto, da quel terminale parte un messaggio verso l’Italia: “mandami l’amico dell’altra volta. Sono pronto”. La risposta del destinatario è: “mi organizzo, ti mando amico, ci vediamo là”. La cella agganciata dal telefono su cui era arrivato il messaggio era sempre la stessa, vicino Venezia. Un giorno, però, sulla console dei finanzieri si accende una “spia”: quel cellulare è in Belgio all’una di pomeriggio, dopo che al mattino aveva agganciato ancora la rete italiana.

Una distanza esagerata per un viaggio in auto, in così poche ore. Gli uomini del Nucleo setacciano gli aeroporti della zona e scoprono che dallo scalo di Treviso, il sabato mattina, un volo era decollato per Charleroi. “Della lista dei passeggeri, – ha detto il maresciallo sentito dal pm – solo uno era albanese”. Individuato e intercettato, gli inquirenti realizzano che spesso chiamava Cauzzo. Quest’ultimo, il 16 aprile 2012 viene fermato all’estero, alla guida di un tir: è un autotrasportatore internazionale. “Chi meglio di lui”, ha aggiunto il finanziere, “poteva essere ‘l’amico dell’altra volta’?”. I militari entrano in azione il 21 aprile, al valico del Brennero. L’uomo e il camion arrivano e lo fermano. “Non c’è stato nemmeno bisogno di perquisire il mezzo. – è l’epilogo – Aveva panetti, in due valigie, per un totale di quattordici chili e su tutti c’erano svariate sigle”.

Nello sviluppo dell’indagine, due sequestri sono avvenuti in Valle d’Aosta: uno nel luglio 2012 a Roisan, quando i finanzieri avevano sorpreso Anton Ceca con 1,057 kg di "neve" proveniente da uno dei numerosi “rivoli” dell’organizzazione (l’uomo patteggiò immediatamente quattro anni di reclusione per traffico internazionale di droga) e l’altro, nel dicembre dello stesso anno, al traforo del Monte Bianco. Di buon mattino, gli inquirenti avevano bloccato Enver Meta, di ritorno dal Belgio. “Ha provato a mettere alcuni grammi di eroina nel pomello del cambio, per depistare le unità cinofile. – è continuato il racconto dell’inquirente – Però, gli abbiamo trovato due chili di coca nel vano posteriore”.

Con quel sequestro (per il quale Meta patteggia, al Tribunale di Aosta, anch’egli quattro anni di reclusione, sempre con l’accusa di traffico internazionale), cala il sipario sull’operazione iniziata poco più di un anno prima. L’ultimo atto dell’udienza di stamane è stato rappresentato dall’esame, da parte del pm Castellani, dell’unico imputato presente in aula, Gezim Shoshi. Sul viaggio ad Amsterdam dell’ottobre 2011 ha detto di essere andato “a trovare una ragazza. Prima mi ero fermato in Germania, a Colonia, per prendere un caffè con un mio amico. Lei la avevo conosciuta a Lerici”. Il rappresentante dell’accusa gli ha quindi chiesto se fosse mai stato a Cormano, ottenendo in risposta “solo quando mi hanno arrestato”. All’interrogativo su “chi l’aveva mandato”, il 57enne si è limitato a dire “preferisco non rispondere”, tornando a sedere nel banco degli imputati. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 6 giugno.

Vuoi rimanere aggiornato sulle ultime novità di Aosta Sera? Iscriviti alla nostra newsletter.

Articoli Correlati

Fai già parte
della community di Aostasera?

oppure scopri come farne parte