Morì per l’eroina tagliata con l’antitosse: la Cassazione riapre il processo

Il Gup di Aosta aveva deciso il “non luogo a procedere” per i due imputati di aver ceduto la dose letale ad un 38enne di St-Pierre. Il Procuratore della Corte d’Appello di Torino impugnò quella sentenza, presentando un ricorso accolto dalla Suprema Corte
Cronaca

Una sentenza della Corte di Cassazione, depositata nelle scorse settimane, riapre – rimandando ad Aosta il fascicolo chiuso con il “non luogo a procedere” – il capitolo processuale legato alla morte di un 38enne di Saint-Pierre, trovato senza vita in casa sua, il 23 marzo 2014. Dall’autopsia era emerso un decesso per overdose, da eroina tagliata con un potente antitosse, il destrometorfano, in grado di quintuplicare l’effetto dello stupefacente.

Un dettaglio che, da subito, aveva preoccupato le forze dell’ordine: di quelle morti, in tutta Italia, se n’erano riscontrate tre, di cui ben due a Saint-Pierre. La Polizia aveva fatto quindi scattare, nel mese di maggio, l’“operazione Salvavita”, mirata ad accertare – come aveva spiegato allora il sostituto commissario della Squadra Mobile, Valter Martina – “se c’era ancora nella zona di Saint-Pierre eroina tagliata con quel farmaco, o il farmaco stesso”.

In quelle perquisizioni (in tutto una dozzina), non si andò oltre il ritrovamento di marjuana, munizioni e metadone, con la denuncia di tre persone, ma le indagini continuarono. Gli inquirenti arrivarono, seguendo una pista che li portò fuori Valle, alle due persone ritenute responsabili di aver ceduto la dose letale al 38enne, vale a dire Andrea Ottonelli (36 anni) ed Elisa Musu (29 anni).

Entrambi finirono imputati per “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”, ma uscirono di scena poco dopo. Il 15 gennaio 2015, il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Aosta decise per il “non luogo a procedere” nei loro confronti, rilevando che “gli imputati avevano assunto la medesima sostanza che aveva determinato la morte del 38enne, dovendo pertanto escludersi che a livello processuale sia ravvisabile quella colpa in concreto la cui sussistenza è elemento imprescindibile al fine di un’affermazione di penale responsabilità”.

Una decisione che non convinse il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Torino, tanto che presentò ricorso in Cassazione, impugnando la sentenza aostana. Alla base di tale scelta, il fatto – secondo il ricorrente – “che nessuna verifica sarebbe stata condotta dal Gup in ordine alla prevedibilità dell’evento morte secondo un giudizio prognostico postumo”.

Nel ritenere fondato il ricorso, i giudici della suprema Corte osservano che “lo scopo (dell’udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato”. Pertanto, “solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere”.

In particolare, la Cassazione ritiene che “il Gup sia incorso in palesi omissioni valutative, conducenti alla insufficiente motivazione adottata, che, invece, erano ineludibili” e che, soprattutto, non abbia tenuto conto che “a differenza degli imputati, il 38enne non era assuntore abituale di sostanza stupefacente e che pertanto diversi potevano essere gli effetti sul suo organismo della sostanza cedutagli. Né sono stati chiariti i rapporti tra le parti”.

Motivazioni sulla base delle quali la Suprema Corte decide per l’annullamento della sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Aosta per la celebrazione di un nuovo processo a carico di Ottonelli e Musu.

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