Destination manager, esiste davvero?

In Valle come nel resto d’Italia il management della destinazione non è ancora praticato affidandosi a figure specializzate e ad un modello organizzativo ben definito, che permetterebbe una “agilità” ed un’efficacia sul mercato ancora maggiore.
Economia, Società

La stagione estiva si avvia verso la sua parte conclusiva ed è già tempo dei primi bilanci. Questo è il periodo in cui gli operatori e le amministrazioni fanno i conti con i numeri ed i  raffronti con le passate stagioni e si parla di tendenze e di previsioni più o meno rispettate.

Ma le vacanze non sono la resa dei conti solo per gli operatori. Sono anche il momento in cui, nei panni del turista, si può toccare con mano quello che viene effettivamente offerto e verificare come le destinazioni sono organizzate e soprattutto gestite.

La gestione diretta di una destinazione si traduce in una serie di aspetti, tra cui: la presenza ed il coordinamento dei punti di contatto con il cliente, la loro funzione (solo informativa, di prenotazione o anche di vendita diretta), l’organizzazione di eventi e della relativa logistica (informazione, vendita, trasporti, servizi collaterali), la garanzia di uno standard minimo di qualità e di un livello di accoglienza adeguato, nonché la percezione di un’identità quanto più unitaria e riconducibile ad un’immagine chiara del territorio.

Dietro a tutto questo, oltre che a molto altro, c’è l’attività di destination management, ovvero di gestione della destinazione dal punto di vista turistico. Questo termine anglofono è entrato ormai a far parte del lessico tecnico in campo turistico, ma non sempre corrisponde ad un concetto chiaro e definito, né tantomeno ad una figura specifica.

Il destination manager dovrebbe appunto essere colui che si occupa di tutti gli aspetti sopra elencati, oltre che, a monte, di predisporre una strategia orientata al raggiungimento di obiettivi definiti. E’ di fatto una figura essenziale in quanto l’unica in grado di garantire un orientamento strategico comune e soprattutto l’effettivo funzionamento di tale strategia. La sua presenza presuppone l’esistenza di un’organizzazione precisa della destinazione, detta DMO (Destination Management Organization), che deve funzionare come un sistema unitario, secondo un’impostazione strategica ed operativa unica.

La realtà italiana però ci mostra che per ora la pratica è ancora lontana dalla teoria: il modello della DMO è trattato dalla letteratura specializzata e proposto dagli esperti ma raramente trova una realizzazione pratica. Di conseguenza, nonostante  ci siano ormai diversi corsi universitari e master in destination management, non esiste (o esiste in rari casi) uno sbocco professionale vero e proprio per questa figura.

In Italia, la gestione della destinazione (quando non è del tutto assente) è ancora in gran parte affidata alla pubblica amministrazione che non sempre ricorre ad ad un’organizzazione di tipo “aziendale”, ovvero affidando pieni poteri a manager formati per quello specifico ruolo. Per questo motivo il ruolo del destination manager è alquanto sfumato:  a volte viene di fatto assunto dal funzionario pubblico di riferimento, altre volte è scomposto in più figure di manager pubblici che si occupano solo di una parte dell’attività globale di management.

In altre parole, nonostante esista una formazione specifica, nel nostro paese non ci sono molte possibilità di fare veramente il destination manager inteso nel significato puro del termine. Se ad esempio si dà uno sguardo alla situazione in Valle d’Aosta, si assiste nella maggior parte dei casi allo scenario appena descritto: il management della destinazione non è ancora praticato in maniera “scientifica” ovvero affidandosi a figure specializzate ed ad un modello organizzativo ben definito, che permetterebbe una “agilità” ed un’efficacia sul mercato ancora maggiore.

E’ certo che la politica regionale degli ultimi anni è andata nella direzione giusta, cercando di stimolare l’iniziativa e l’imprenditorialità privata e diminuire la dipendenza dal settore pubblico, che ha spesso creato in passato una sorta di “immobilismo” tra gli operatori turistici. Per arrivare ad una logica di destination management vero e proprio è quindi necessario puntare verso un modello che integri maggiormente la partecipazione pubblica con un’impostazione dinamica, orientata al risultato e basata su professionalità specializzate.

A cura di TURISMOK

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