I losisti: “senza lose perdiamo l’unicità del paesaggio e non risparmiamo affatto”

Conferenza ieri a Nus per difendere l’uso delle lose. “Durano in eterno, sono riutilizzabili, proteggono meglio dei rivestimenti di moda oggi. Abbiamo portato le montagne sui tetti, non cancelliamo la nostra storia” ha affermato Champrétavy.
Economia

Chi si aspettava un match tra i losisti, ovvero i posatori delle lose, e Mauro Baccega, l’assessore regionale alle opere pubbliche, si è dovuto ricredere. La conferenza indetta ieri sera, nella sala comunale di Nus, dall’Association valdôtaine Lauzeurs non si è risolta in uno scontro sullo stop ai contributi regionali per le coperture in lose. Baccega, e altri consiglieri regionali presenti, sono stati invitati essenzialmente per ascoltare, in platea. Dalla sala comunale di Nus è comunque giunto un appello agli amministratori: non una richiesta di contributi, ma di considerazione per un mestiere in via di scomparsa, il cui ruolo è determinante per l’identità paesaggistica locale.

Ettore Champrétavy, presidente della neonata associazione, che riunisce per ora l’80% dei losisti valdostani – una quarantina di persone – ha riscaldato la platea con un pacato ma deciso richiamo all’orgoglio professionale e a una tradizione tramandata da secoli.
Partendo da una domanda curiosa: cosa accomuna, le piramidi, i templi di Agrigento, il Colosseo, Machu Picchu, in Peru e il castello di Fénis? Sono tutti in pietra, costruiti per resistere millenni. Ma mentre i primi appaiono “scoperchiati”, l’ultimo – antico quanto Machu Picchu – si è conservato benissimo. Merito delle lose.

Le argomentazioni in difesa delle lose evidenziate nel corso della serata sono al contempo storico-estetiche ed economiche.
Il sistema dei contributi era tutt’altro che perfetto, lo ammettono gli stessi losisti. “Abbiamo rivestito con le lose qualsiasi cosa, compresi rotonde stradali, depositi di immondizia in città, perfino la sede della Deval ad Aosta, accanto alla Cogne. Un tetto “dialoga” con quello che sta attorno, se vicino a lui ci sono condomini e un’acciaieria, che senso ha coprirlo di pietra?” ha lanciato il presidente dell’associazione, mentre alle sue spalle scorrevano foto delle opere designate. “Inoltre la legge sui contributi disincentivava il riutilizzo delle lose. Pazzesco: le lose vecchie sono le migliori, sono perfette e costano evidentemente molto meno”. L’abolizione dei contributi ha prodotto anche un risultato positivo: “Prima non ci conoscevamo neppure, ora finalmente ci siamo riuniti per fare sentire la nostra voce: abbiamo costituito un albo, e in primavera organizzeremo delle giornate di formazione per chi vuole approfondire alcune tecniche che stanno scomparendo”.

Da punto di vista economico, il risparmio ottenuto con le tegole o altri rivestimenti sarebbe solo apparente, secondo Ettore Champrétavy. “Mentre le lose sporgono dal tetto, e lo proteggono dagli elementi, senza bisogno di altri accorgimenti, le tegole no. Per proteggere il legno sottostante occorre posizionare tutto attorno una spessa fascia di rame. E i prezzi lievitano, rendendo competitive le lose. La moda dei tetti a filo con il muro, senza sporgenze, ci fa costruire case con la data di scadenza, che ben presto vengono mangiate dall’umidità. Le lose invece sono eterne. Pesano? Sì, 50 kg in più al metro quadro, ma un metro di neve ne pesa 800. In Piemonte le lose se le contendono, noi le sostituiamo con materiale meno nobile, e le buttiamo. Come quando i nostri vecchi barattarono i mobili in noce con le cucine in formica. Ora i loro discendenti si mangiano le mani”.
Le ragioni estetiche non sono da meno. “Solo in Valle d’Aosta i tetti in losa fanno davvero parte del patrimonio locale. Lo disse perfino il premier francese Balladur: le lose distinguono la Valle d’Aosta dal resto del mondo. Abbiamo portato le montagne sui tetti, al prezzo di una grande fatica. Il risultato è l’armonia estetica dei nostri villaggi, un bene che, al pari delle colline delle Langhe, potrebbe essere inserito tra i patrimoni dell’Unesco”.

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